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La parentela nel Medioevo, l’importanza del legame del sangue

Indice

Il legame di sangue e consanguineità

Dal legame di sangue al lignaggio

La solidarietà del lignaggio

Dalla solidarietà giuridica a quella economica

Fonti bibliografiche

 

Il legame di sangue e consanguineità

Il sangue non è acqua, chi non lo sa? Quante volte l’uomo si è chiesto nei secoli del passato se un legame di sangue non possa essere spezzato, poiché è risaputo che spesso esso va ben oltre la morte del corpo. Da che mondo è mondo esistono il peccato e la malvagità e i consanguinei si sono spesso scagliati gli uni contro gli altri, perfino da arrivare ad uccidersi, fregandosene di quel legame che la comunanza del sangue aveva creato. Il Medioevo in proposito ha un vasto repertorio, eppure furono proprio i legami di sangue creati per matrimonio e nascita a creare la struttura sociale tipica del feudalesimo. Tale struttura fu poi integrata da una più intricata rete di rapporti personali che pur non basandosi sulla comunanza di sangue, finirono per necessitarne.

 

Figura 1 – Tipi di legame vigenti nel medioevo

 

In vero i legami fondati sulla comunanza del sangue sono di molto anteriori ed essenzialmente estranei al mondo medievale, grazie al quale però li abbiamo conosciuti più da vicino. Essi ebbero un ruolo troppo importante per essere trascurati. Non va inoltre dimenticato che fin dalle origini dell’umanità, la prima forma di società fu la famiglia in sensu strictu. La famiglia, inoltre, non è solo stata la prima forma di società, ma anche la prima forma di comunità e nell’antica Francia, essa era designata come comunità tacita, silenziosa ed è nella natura stessa dei rapporti tra consanguinei fare a meno di scritti. Un uomo sposa una donna con una formula pronunciata a voce, formula imparata a memoria e tramandata con lo stesso metodo; un uomo ed una donna generano un figlio con un atto fisico e non con un documento scritto che attesti la loro paternità. Così fu per secoli e raramente si ricorse a forme scritte che attestassero i fatti. L’umanità ha dovuto attendere la nascita delle istituzioni ecclesiastiche, delle chiese, perché ci fossero tracce scritte dei rapporti tra individui e in assenza di fonti anagrafiche civili antecedenti al XIX secolo, ancora oggi ci dobbiamo rifare agli archivi ecclesiastici. In epoca medievale tali archivi gestivano prevalentemente l’andamento delle famiglie nell’ambito delle classi nobili e di esse si hanno notizie solo a partire dal XIII secolo. Le fonti antecedenti, fatto salvo qualche frammento, sono andate quasi tutte perdute [1].

 

In epoca medievale il legame di sangue assunse un’importanza estrema e fu anche uno dei centri attorno al quale ruotava la legge e soprattutto la giustizia, con particolare riferimento alla vendetta. Con più un vincolo era stretto e con più era importante e si giunse ad un punto in cui, a causa dell’allargarsi sempre maggiore delle famiglie si dovettero imporre dei limiti. Più avanti parleremo anche della solidarietà che tale legame permetteva da un lato ed imponeva dall’altro, specialmente nella pratica. Gli individui che erano tra loro consanguinei erano anche meglio definiti “amici carnali” e nella Francia e Germania dei primi secoli del Medioevo si usava il termine amis o freund per indicare i parenti uniti dal vincolo di sangue o con il matrimonio. Il termine “amico” indicava dunque un consanguineo e non un individuo legato ad un altro dalla comune esperienza di vita e interesse, almeno inizialmente. Successivamente la definizione di “amici carnali” non fu estesa più a tutta la parentela ma sono ai consanguinei entro un certo grado di parentela. Inoltre, a partire dal XII secolo tale definizione perse il suo significato arcaico di consanguineo e assunse quello che è più caro agli scrittori e ai trovatori delle corti medievali, il significato di “amante” e un esempio ce lo offre Chretien de Troyes, che è solito ad usare tale termine nelle sue opere:

 

“Finché vivrò, non voglio essere servita da alcun altro uomo: voi sarete il mio amico e il mio servitore. Tutto quel che farete per me mi sarà gradito. Non sarò mai signora di un impero se voi non ne sarete il signore.” [2]

"Cosa gli dirò, io per prima?” dice. "Lo chiamerò per nome o gli dirò ‘amico’? [3]

“Dal mio amico, il cuore, io sono maltrattato: mi dimentica per il mio nemico, e io posso ben tacciarlo di fellonia, ché verso di me ha commesso una grave colpa.” [4]

 

Nella maggior parte delle sue opere Chretien usa il termine “amico” non nel senso di consanguineo, piuttosto di amante e così è la protagonista femminile che spesso vuole essere “la dolce amica” del protagonista, ovvero la dolce amante. Raramente l’autore usa nelle sue altre opere il termine con significato di consanguineo, ma piuttosto con significato moderno. Nelle opere di Chretien, che han spesso per oggetto la corte arturiana dove chi più e chi meno ha con Artù un legame di parentela, il termine “amico” non designa dei consanguinei e non pone più sullo stesso piano compagni di battaglia e famigliari del re: solo i secondi sembrano avere un valore più importante rispetto ai primi. Siamo oltre la seconda metà del 1150 e Chretien è il secondo a parlare al pubblico di Artù e della sua corte, il primo fu Goffredo di Monmouth nato cinquanta anni prima e presentando a sua volta un’opera di quasi trecento anni prima ancora [5].

 

L’eroe meglio servito è quello al quale i guerrieri sono congiunti o per mezzo della nuova e propriamente feudale relazione di vassallaggio o per la vecchia relazione di parentela: due legami che vengono messi sul medesimo piano, poiché, di eguale vigore, sembra primeggino su tutti gli altri. Nelle prime opere consanguinei e compagni di Artù sono posti sullo stesso piano tra loro, rispetto al re, mentre nelle opere successive solo i consanguinei sono più importanti. Questo significa che i costumi nel giro di tre secoli erano cambiati nel trattare la consanguineità degli individui di un gruppo famigliare allargato. Inizialmente i due tipi di legame furono sullo stesso piano rispetto ad un capo, ma, man mano che le famiglie si allargavano da un lato ed aumentavano i legami di vassallaggio dall’altro, solo il legame di consanguineità finì per essere quello che prevaleva in assoluto, specie in campo giuridico. I due legami non rischiarono di escludersi a vicenda, anzi per necessità degli individui stessi spesso il legame di vassallaggio si confondeva e si auto rafforzava proprio grazie alla consanguineità. Il legame di sangue portò alla cosiddetta solidarietà di lignaggio che approfondiremo a seguito e che per le sue caratteristiche fu l’origine delle classi agiate di ogni epoca, con qualche variante, ma fu anche il filo che falciò via intere famiglie nelle faide tipiche del Medioevo.

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Dal legame di sangue al lignaggio

Quando pensiamo al termine “lignaggio” pensiamo sempre al rango e in effetti non è tanto errato questo modo di intendere il termine, ma è bene fare delle precisazioni. Il termine deriva dal francese antico “lignage” che a sua volta deriverebbe dal latino “linea” ossia linea di discendenza. Dalla famiglia feudale derivò il lignaggio degli individui e dunque anche la gerarchia sociale. Come un albero la società medievale aveva rami che finirono per intrecciarsi tra loro e confondersi, tanto che ancora oggi facciamo fatica a districare i grovigli, resi ancor più complicati dalla mancanza di fonti scritte. Abbiamo detto che la famiglia fu la società in cui gli individui erano uniti da un legame di consanguineità e che per molto tempo questo fu sullo stesso piano del legame formatosi per vassallaggio, mentre successivamente prevalse il primo tipo di legame sul secondo. Il legame di sangue nel corso dell’Alto Medioevo funzionava per tutti i gradi di parentela non solo in orizzontale ma anche in verticale (per generazioni successive).

 

Figura 2 – Schema di una gerarchia famigliare fino al secondo grado. In orizzontale ci sono i legami di sangue che si formano per matrimonio, mentre in verticale ci sono quelli che si formano per nascita. Col tempo il legame di sangue formatosi in questi due modi e divenendo una cosa sola in termini giuridici, prevalse su quello di vassallaggio, anche se con determinati limiti all’uno e all’altro.

 

Le prime comunità famigliari erano comunità guerriere, di stampo patriarcale dove il capo famiglia era anche il vertice della gerarchia e i suoi guerrieri erano il più delle volte suoi parenti e consanguinei, con essi egli spartiva le ricchezze accumulate nei bottini di guerra tenendo per sé ovviamente il pezzo più grosso. Alla morte del capo succedeva al comando il figlio maschio maggiore, in sua assenza, il secondo in linea di successione e così via fino a quando non si trovava un consanguineo che prendesse il posto vacante e che fosse in grado di mantenerlo. Con la morte del capo il testimone passava al suo successore e tale testimone era rappresentato da ricchezza e potere. Era necessario che questi avesse il sostegno dei suoi famigliari (solidarietà orizzontale) e dei suoi figli (solidarietà verticale) che erano quelli che avrebbero avuto un giorno, alla sua morte, l’eredità, ovvero i suoi beni ed il suo potere. Queste furono le basi del lignaggio, della trasmissione del potere e della ricchezza per linea di sangue. Chi apparteneva alla famiglia del capo e quindi del rex (dal lat. regis che significa governare) era considerato di una certa importanza e da quel momento i suoi discendenti avrebbero avuto eguale importanza, avendo con lui un legame di sangue. Era un interesse non da poco sposare la figlia di uno di questi famigliari per salire di gradino anche se non era poi così facile. Sebbene la Chiesa vietasse fino al quarto grado i matrimoni tra consanguinei ed essendo gli stessi vietati già da tempi anteriori, la pratica degli stessi era per certi versi legata alla paura di “corrompere” il sangue e il patrimonio con chi non era dello stesso lignage, quindi della stessa linea di sangue. Non gridiamo alla contraddizione, capiamoci bene, erano tempi in cui già conoscevano gli effetti di tali unioni tra consanguinei e che rasentavano l’incesto; per quanto possibile, specie con le regole imposte dalla Chiesa, tanti casi si riuscirono ad evitare, anche senza le moderne conoscenze genetiche [6]. È così che essenzialmente è nata la classe nobile e il lignaggio non fu più, ad un certo punto, solo un fatto di sangue, ma divenne uno status. Chi apparteneva a una famiglia apparteneva di conseguenza ad un certo lignaggio. Quando al legame di sangue si appoggiò, fino a confondersi con esso, il legame vassallatico e soprattutto quando una certa condizione divenne ereditaria, il lignaggio di un individuo divenne una condizione civile ed economica e questo valeva in ogni gradino della scala sociale. In tal modo si tramandarono anche le condizioni più umili. Il consanguineo di un rex era considerato di alto lignaggio e lo stesso esempio vale per il consanguineo di un servo che era considerato al margine della società. Poiché in epoca medievale le famiglie erano molto allargate, sia in senso orizzontale (parenti acquisiti con matrimonio) sia in senso verticale (si facevano molti figli) si finì che rispetto ad un capo il legame di vassallaggio era lo stesso per tutti in merito alla fedeltà che ognuno gli doveva, ma quanto al patrimonio e titoli non si poteva dare lo stesso titolo legato alla stessa porzione di terra alla stessa persona e inizialmente, conformi ad una mentalità militare, i titoli e le terre venivano assegnati in modo da garantire una difesa. Dopo il IX secolo, quando i giuramenti di vassallaggio crearono la complicata gerarchia sociale del medioevo in cui i servi della gleba erano alla base della piramide, aumentarono i titoli perché aumentarono anche le divisioni territoriali e il discorso del lignaggio cambiò e così due persone finirono per essere considerate di un certo lignaggio quando anche appartenendo a due famiglie di origine diversa e non comune, avevano un titolo ed un patrimonio trasmissibili per linea di sangue. Essere parenti per certi versi in epoca medievale conveniva come oggi conviene essere parenti di un pezzo grosso.

 

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La solidarietà del lignaggio

Essere parenti è vero per certi versi conveniva in epoca medievale come conviene oggi se il pezzo con cui abbiamo il sangue in comune è un pezzo “grosso” nella società, ma il legame di consanguineità nasconde sempre delle insidie e il Medioevo ce ne ha portato svariati esempi, dalle case regnanti a quelle di piccola nobiltà. La solidarietà orizzontale e quella verticale finirono presto, già nell’Alto Medioevo, per essere riassunte in una unica parola “solidarietà di lignaggio” e comportava diritti e doveri, ricchezze e l’onore o la disgrazia.

 

Figura 3 – La solidarietà di lignaggio nella società altomedievale (fino agli inizi del XIII secolo).

 

L’uomo trovava nei parenti i suoi sostenitori naturali. Dove tale antica procedura germanica sussisteva ancora, i co-giuranti il cui giuramento collegiale era sufficiente a far assolvere o confermare l’accusa del querelante, venivano scelti tra i parenti a seconda delle regole o, come più spesso accadeva, della convenienza. Se, per fare un esempio drammatico, il cugino di un re era accusato di stupro conveniva scegliere il re stesso sia come difensore sia come giudice del presunto colpevole. Il parentado era a sua modo oltre che un appoggio, anche un giudice. L’onore o il disonore di uno dei membri di una famiglia si rifletteva anche su tutta la piccola collettività famigliare. Per fare un esempio, verso il 1200, il siniscalco di Normandia, rappresentante di un diritto più progredito, fece fatica ad impedire ai suoi agenti di comprendere nella punizione, insieme al criminale, anche tutta la parentela, tanto l’individuo e il gruppo apparivano inseparabili. Il legame di sangue si manifestò in tutta la sua forza specialmente nella vendetta. Quasi tutto il Medioevo e l’era feudale in particolar modo, vissero sotto il segno della vendetta privata, essa spettava, anzitutto, come il più sacro dei doveri, all’individuo leso, anche oltre la morte. L’uomo da solo, d’altro canto, nella buona e nella cattiva sorte, colpevole o vittima, poteva fare ben poco. Inoltre, quel che, molto spesso, si doveva far espirare, era una morte ed entrava allora in azione il gruppo famigliare e nasceva la faida, secondo l’antico termine germanico che si diffuse a poco a poco in tutta l’Europa. Nessun obbligo appariva più sacro e a poco servirono le conciliazioni proposte da figure ecclesiastiche. Nelle Fiandre verso la fine del XII secolo, viveva una nobildonna cui erano stati uccisi marito e i due figli dai loro nemici, la vendetta teneva in agitazione perfino tutto il paese. Il vescovo di Soissons [7] tentò vanamente una riconciliazione, ma pur di non ascoltarlo la vedova fece alzare il ponte levatoio e non lo fece entrare. Presso i Frisoni [8] lo stesso cadavere gridava vendetta: si dissecava, sospeso nella casa fino a quando non diedero giustizia per poi acquistare il diritto di seppellirlo. Tutta una famiglia il lignaggio si raccoglieva agli ordini di un capitano della guerra, si armava per punire l’uccisore o la semplice ingiuria e per ingiuria all’epoca si intendeva anche solo soffiarsi il naso contro qualcuno. L’estremismo superò persino i limiti della follia. E non ci si scagliava solitamente solo contro l’autore del torto, ma anche contro un suo consanguineo o la sua famiglia. Alla solidarietà attiva rispondeva egualmente forte una solidarietà passiva. Nella Frisia medievale non era necessaria la morte del colpevole per seppellire un corpo che gridava vendetta, era sufficiente quello di un suo famigliare.

 

Figura 4 – Lo schema della solidarietà attiva in rapporto alla passiva

 

Vediamo così come il legame di sangue fosse fondamentale per la vendetta, fatta passare per giustizia. Era la prima insidia che la consanguineità nascondeva. La vendetta sul parente di un colpevole poteva aversi subito o anche dopo, specie nelle faide famigliari, a distanza di anni e generazioni [9]. Nulla attesta la potenza e la durata di queste rappresentazioni meglio di una sentenza scritta [10], pervenutaci dai lungi ed oscuri secoli del Medioevo. Nel 1260 un cavaliere, tale Louis Defeux, ferito da un tale Thomas d’Ouzouer denunciò il suo aggressore davanti alla corte. L’accusato non negò il fatto, ma dichiarò di essere stato attaccato un po’ di tempo prima, da un nipote della sua vittima. Non potevano nemmeno rimproverargli nulla, dato che, in conformità con le leggi regie, aveva atteso quaranta giorni [11] prima di vendicarsi. La vittima rispose che non era responsabile delle azioni del nipote. Ma come? L’argomento valse a poco perché l’atto di un individuo coinvolgeva tutta la parentela [12]. Poiché il sangue in tal modo chiamava al sangue, interminabili contese, spesso nate per futili motivi, gettavano l’una contro l’altra le case nemiche. Un esempio quasi ridicolo, ma che colorò di rosso la terra più di quanto possa fare il vino: nel XI secolo una disputa tra due case nobili della Borgogna, iniziata un giorno di vendemmia, si prolungò per trent’anni e fin dai primi combattimenti, uno dei partiti aveva perduto più di dieci uomini [13]. Di queste faide la storia medievale è piena, anche se le cronache hanno preferito ricordare i casi più pittoreschi e cruenti che vedevano come protagonisti membri di case nobili, regnanti e cavalleresche. Basti pensare agli odi mortali che trascinavano per generazioni famiglie intere e intere nazioni, odi cantati e spesso trasformati in epopee eroiche. Dall’alto al basso della gerarchia sociale trionfavano i medesimi costumi. Senza dubbio, quando, nel corso del XIII secolo la nobiltà si fu definitivamente costituita in corpo ereditario, mirò a riservarsi come un segno d’onore tutte le forme di ricorso alle armi. I poteri pubblici, da parte loro, assecondarono questo fenomeno sia per simpatia verso i pregiudizi nobiliari sia perché provavano anche oscuramente il bisogno dio schierarsi dalla parte del più forte. D’altro canto non si poteva impedire anche solo moralmente alla casta nobiliare, ancora con solide radici guerriere, di rinunciare a qualsiasi forma di vendetta; era già difficile ottenerlo dalla popolazione. Fu così che la vendetta finì per divenire un privilegio di classe, legata, come il patrimonio alla terra e ad un titolo, alla linea di sangue. Anche se nate, come nel caso della vendemmia, per ragioni irrisorie e coinvolgendo inizialmente solo le famiglie nobiliari, le faide a lungo andare si estesero alle popolazioni, sempre più tormentate. Poiché le famiglie in guerra erano famiglie allargate e la solidarietà aveva finito per andare anche oltre il legame di sangue – sconfinando nel gusto per il sangue e il saccheggio – si giunse ad un momento in cui fu necessario, per evitare il bagno di sangue e non potendo facilmente mettere il bavaglio alla Chiesa, a dover porre dei limiti all’applicazione della vendetta. Si strinse il cerchio dei consanguinei che, in virtù del vincolo di sangue con un individuo, potevano compierne la vendetta o rimediare ad un torto [14]. Il termine “odi mortali” divenne un termine tecnico, essi erano generati senza posa dai vincoli famigliari e costituivano indiscutibilmente una delle principali cause della turbolenza generale. Essi però, d’altro canto facevano anche parte di un “codice morale” a cui, nel segreto del cuore, i più arditi apostoli dell’ordine rimanevano fedeli e solo qualche utopista sognava di abolirli.

 

Uno dei tentativi di limitare le faide e gli eccessi fu quello di colpire il borsello dei trasgressori e furono applicate delle tariffe e si imposero luoghi in cui era vietato combattere, oltre che dei giorni: “la Tregua di Dio”, applicata soprattutto sul finire del XI secolo e con l’avvento della Prima Crociata. Oltre un certo limite però non fu possibile imporre dei limiti e la faida era in buona parte riconosciuta legittima. Ci si sforzava di proteggere gli innocenti contro i più stridenti abusi della solidarietà collettiva e si stabilirono dei termini di messa in guardia [15]. Si tentò persino di limitare il numero e la natura dei torti suscettibili di essere lavati nel sangue. Secondo una ordinanza promulgata da Guglielmo in Conquistatore [16], solo l’uccisione di un padre o di un figlio potevano essere espiati con un’altra morte. Salvo in Inghilterra, nel resto d’Europa ci si limitò a moderare gli eccessi di usanze che non si potevano né forse si desideravano impedire, dunque anche nell’amministrare la giustizia e nel limitare l’attività dei giustizieri, non vi era alcuna neutralità. Nessuno era super partes in nulla e si seguiva sempre, per paura o per necessità, il proprio interesse, il proverbiale secondo fine. Quando la parte lesa non avesse voluto ricorrere, per motivi più svariati, alla vendetta privata si ricorreva ad un processo che si concludeva con una “autorizzazione a procedere”. La casistica era talmente varia, oltre che una mescolanza variopinta di usi barbarici e romani, che anche nel caso dell’omicidio, la procedura variava continuamente e in ogni luogo. Per esempio, nel caso dell’omicidio volontario, nell’Artois del XIII secolo, si stabiliva che al signore [17] (feudatario) sarebbero andati i beni del colpevole ed il corpo, perché fosse ucciso, ai parenti [18] della vittima, ai quali spettava, quasi sempre, la facoltà di impegnare un’azione giudiziaria. Appena più a ovest dell’Artois (oggi parte del dipartimento del Pas-de-Calais) e della Piccardia, in Normandia, i costumi cambiavano e si aggiungeva che il colpevole non solo doveva morire giustiziato, ma non poteva manco chiedere grazia al sovrano o ai giudici ed il sovrano stesso non poteva concedere grazia, di sua iniziativa, senza prima accordarsi col parentado della vittima. Si arrivò poi ad un tratto, nel corso del Medioevo, in cui bisognava bene che si finisse col riuscire a perdonare “la faida dei morti”, anche se è noto che chi cerca vendetta è più sordo che mai alla parola perdono.

 

In Inghilterra, dove le cose sono sempre andate anche in epoca medievale diversamente dal resto del “mondo”, prima della conquista normanna e durante il regno di Edoardo il Confessore, una tradizione antichissima sanciva la riconciliazione con il pagamento di un’ammenda o indennità [19].

 

La lancia sul tuo petto, acquistala, se non vuoi riceverne il colpo.

 

Un consiglio che riconferma quanto detto prima in merito al pagamento di ammende che, per quanto possibile, cercarono di limitare la vendetta privata prima che diventasse massacro. Le regolari tariffe di conciliazione che le leggi barbare avevano tempo prima elaborato con tanta minuzia, specie in materia penale, e la sapiente graduazione dei “prezzi dell’uomo” non si conservavano e rispettavano che in alcuni luoghi come Frisia, Fiandre e alcune zone della Spagna, in Sassonia dove però tale sistema finì per essere vanificato dalla più pratica usanza del bagno di sangue. Le autorità pubbliche come abbiamo detto prima, per necessità o interesse proprio, si schieravano dalla parte del più forte e che, sempre per gli stessi motivi, si comportavano per limitare massacri e faide – intensificate dalla grande rete di vincoli di sangue – con l’introduzione di tariffe e quindi pagamenti si svegliarono richiamati probabilmente dall’avidità, dacché ne percepivano una parte [20]: avevano dunque ogni interesse a far mantenere ordine e giustizia. Quando passò il periodo delle tariffe – che non tutti potevano e/o volevano pagare – riprese la consuetudine di prima, anche se sembra, dalle fonti, meno intensamente e forse perché la gente aveva capito che era inutile per una sciocchezza andare a fare un bagno di sangue, inutile. La gente stessa forse si riprese dalla “furia del sangue” e si calmò, ma in caso di omicidio erta comunque richiesto nella maggior parte dei casi, il prezzo dell’uomo o la morte del colpevole, se non entrambe le cose. Anche se praticamente non più applicate, le tariffe “della giustizia” rimasero in vigore, ma vennero applicate solo quando conveniva e quando soprattutto era riconosciuto loro, dalle autorità stesse, forza di legge. Come già detto, però, anche in nota, era difficile che il pagamento di un tariffa, anche enorme, corrispondesse quanto la soddisfazione di farsi giustizia lavando una colpa nel sangue, specie quando la vittima era nobile o altolocata.

 

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Dalla solidarietà giuridica a quella economica

La solidarietà di lignaggio non aveva conseguenze solo in campo giuridico, ma anche in campo economico, specialmente quando entrò in gioco il fattore dell’ereditarietà di un patrimonio (terre, immobili e anche servi) legato, praticamente in modo indissolubile, ad un titolo.

 

Figura 5 – Effetti della solidarietà del lignaggio, in campo giuridico ed economico

 

L’Occidente feudale riconosceva, all’unanimità, la legittimità del possesso individuale, ma nella pratica, la solidarietà del lignaggio si prolungava in società di beni. Ovunque, anche nelle campagne, numerose frérèches [21] raggruppavano, attorno al medesimo fuoco [22] o alla stessa pentola e sui campi indivisi, numerose famiglie imparentate tra loro. Il signore incoraggiava, quando non imponeva direttamente, l’uso di queste “compagnie” poiché stimava vantaggioso considerarne i membri come solidali, per amore o per forza, negli obblighi censuari [23].

 

In Francia per esempio, la successione del servo non conosceva altro sistema di devoluzione [24] che la continuazione di una già esistente comunità. Se l’erede naturale, il figlio o il fratello, avesse abbandonato il focolare collettivo prima dell’inizio della successione, i suoi diritti allora, e solo allora, venivano meno dinanzi a quelli del padrone. Tali consuetudini erano senza dubbio meno generali nelle classi elevate dato che il frazionamento diventava necessariamente più facile con l’aumentare della ricchezza, forse soprattutto perché le rendite del signore mal si distinguevano dai poteri di comando che per natura si prestavano, meno comodamente, ad essere esercitati in forma collegiale, così si riprende quanto detto prima sulla solidarietà di lignaggio legata al fattore dell’ereditarietà non solo di un nome o un titolo, ma di un intero “bagaglio” civile ed economico. Sia in Francia sia in Toscana i piccoli signori praticavano, al pari dei contadini, la comunanza dei beni, sfruttando in comune il patrimonio e vivendo tutti nel castello avito o almeno avvicendandosi nella sua guardia [25]. Qualora uno straniero avesse ambito ad aggiungersi al gruppo, sia che fosse plebeo sia che fosse nobile, l’atto di associazione acquisiva volentieri la forma di una fittizia fraternità: era in pratica, come se egli diventasse consanguineo, senza esserlo. Infatti, non essendoci un contratto solido che non si poteva appoggiare sul sangue, almeno ne imitava i vincoli. I grandi baroni [26] non ignoravano queste abitudini di comunanza e un esempio è offerto dai Bosonidi [27], signori delle contee provenzali che considerarono indiviso il governo generale del feudo e tutti, uniformemente, si fregiavano del medesimo titolo: oltre che baroni, conti o principi per tutti i loro territori.

 

D’altra parte quando il possesso era chiaramente individualizzato non poteva per questo sfuggire a qualsiasi vincolo famigliare. Tra due termini che noi incliniamo a giudicare antinomici [28], questa epoca di partecipazione giuridica non vedeva invero alcuna contraddizione. Se ci andiamo a guardare tutti gli atti di vendita o donazione conservati nei secoli dal XI al XII negli archivi ecclesiastici noteremmo che l’alienatore [29] proclamava frequentemente, in un preambolo scritto dai chierici, il suo diritto a disporre dei propri beni in totale libertà. Tale era infatti la teoria della Chiesa, all’epoca arricchita senza posa da donazioni e custode al tempo stesso delle anime. Come avrebbe ammesso che venisse opposto qualche ostacolo ai fedeli, desiderosi di assicurarsi con tanta generosità la salvezza e quella dei loro cari? [30]

 

Figura 6 – Schema dell’eredità individuale e di gruppo. Fatto salvo la mancanza di eredi, perché potesse avvenire una cessione era necessario il consenso della famiglia e dei parenti.

 

Non esistevano al mondo stinchi di santo dato che nella stessa direzione si muovevano anche gli interessi dell’alta aristocrazia, il cui patrimonio si ingrandiva ogni volta che un povero diavolo, per amore o per forza, cedeva il suo campicello, in cambio di protezione ad un signore. Una legge sassone del IX secolo [31] citava proprio questo esempio, enumerandolo tra le circostanze in cui l’alienazione era permessa, quand’anche avesse avuto per conseguenza il diseredamento [32] della parentela, insieme alle altre liberalità verso il Re e la Chiesa. Si aggiunge a quanto detto sin ora che, documenti o notizie, per quanto facciano risonare alto i diritti dell’individuo non mancano d’altro canto di ricordare che era necessario il consenso dei parenti dell’alienatore. Queste approvazioni sembravano necessarie al punto che, nella maggior parte dei casi, non si esitava a rimunerarle [33]. Accadeva a volte che qualche parente infatti non fosse d’accordo o non essendo stato consultato, finisse, dopo molto tempo, per reclamare un determinato bene e coloro che ne avevano beneficiato imprecavano e portavano la causa in tribunale. Su dieci casi, nove si risolvevano con una composizione, ossia un compromesso, visto che il consenso della parentela era indispensabile. Anche consultando tutti i rami di una famiglia, chi reclamava un bene doveva solo sperare di portare dalla sua quanti più parenti possibile per vincere la causa se qualcuno della famiglia aveva avuto la brillante iniziativa di cedere un bene “comune”. Dopo il XII secolo, la mancanza di chiarezza si risolse in un diritto più rigoroso e meno lacunoso delle usanze precedentemente seguite. D’altra parte le trasformazioni dell’economia rendevano sempre meno sopportabili gli intralci opposti agli scambi: fino a poco tempo prima le vendite di immobili erano rare e contestabili, se poi l’acquirente era una chiesa per evitare proteste si camuffavano da elemosine e si credeva, fraudolentemente, di avere un doppio introito: oltre al denaro anche la salvezza dell’anima. Quando la gente capì che la compravendita di beni immobili era utile all’economia, essa divenne un’operazione frequente e confessata oltre che proficua e forse scomparve il mal celato bigottismo di alcuni che facendosi venditori di un terreno ad una chiesa si sarebbero salvati l’anima. Intendiamoci: anche se la Chiesa in epoca medievale era ricca, non tutti i pretini di campagna potevano permettersi l’acquisto di un terreno da coltivare o un edificio da trasformare in piccolo ospedale od altro. Per rendere libera la transizione economica della compravendita in modo assoluto e per distinguerla dalla donazione (che non aveva nulla in cambio di una cessione, essendo unilaterale) ci vollero tutta l’audacia e il senso economico della borghesia. La donazione fu ridotta ad un diritto più limitato, ma con meno restrizioni che in passato e fu meglio definita: prima di una cessione a titolo oneroso era necessario che il bene fosse oggetto di un’offerta preliminare, a profitto dei parenti, specie se proveniva già da un’eredità; restrizione questa grave e che doveva essere duratura [34]. Dall’inizio del XIII secolo in poi la vendita, una volta fatta, si riconosceva ai parenti il diritto di sostituirsi all’acquirente (secondo limiti stabiliti per ordine e grado), restituendo il prezzo già pagato. Nella società feudale non ci fu istituzione più universale di questo “riscatto di famiglia” e, ancora una volta, salvo in Inghilterra trionfò dalla Scozia all’Italia e non ci fu, ancora, istituzione più solida. In tal modo, attraverso i secoli, si perpetuava sotto forme a un tempo meno fluttuanti e più attenuate l’impero economico della famiglia.

 

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Fonti bibliografiche

  • Ariès, P., & Duby, G. (2001). La vita privata. Dal Feudalesimo al Rinascimento (Vol. II). (M. Garin, M. Carpitella, M. Pierini, G. Vèrnole, G. Barone, & C. D. Nonno, Trad.) Laterza.
  • Ariès, P., & Duby, G. (2001). La vita privata. Dall'impero romano all'anno Mille (Vol. I). (M. Garin, M. Carpitella, M. Pierini, G. Vèrnole, G. Barone, & C. D. Nonno, Trad.) Laterza.
  • Barbero, A. (2002). Carlo Magno. Un padre d'Europa. Laterza.
  • Barbero, A. (2009). Benedette guerre. Crociate e jihad. Laterza.
  • Beker. (s.d.). Carlomagno. Dall'Oglio.
  • Bloch, M. (1962). La società feudale (IV ed.). Torino: Einaudi ed.
  • De Troyes, C. (s.d.). Cliges. (G. Agrati, & M. Magini, A cura di) Pratiche Ed.,.
  • Duby, G. (2013). Matrimonio medievale. Due modelli nella Francia del XII secolo. l Saggiatore.
  • Hariulf. (s.d.). Vita Arnulfi episcopi.
  • Runciman, S. (2011). La prima crociata. Piemme.

 

 

Note

[1] In epoca medievale la carta non esisteva e si scriveva sulla pergamena, ovvero la pelle di pecora. Per ottenere un foglio occorreva eseguire una lunga serie di operazioni e non tutti si potevano permettere questa nuova base su cui scrivere, senza contare che erano anche pochi coloro che sapevano leggere e scrivere. Aggiungiamo l’importanza del bestiame in epoca medievale, un foglio poteva voler dire un capo di meno e non potevan certo sgozzare una pecora per scrivere una nota della spesa. Dunque un foglio di pergamena doveva essere scritto solo per cose di importanza assoluta e quando veniva scritto tutto si era di nuovo al punto di partenza, dunque spesso si ricorse al riciclo per scrivere altre cose nuove e magari più importanti. Questo è uno dei motivi maggiori per cui oggi di quell’epoca sappiamo ancora molto poco, senza contare che finchè poté l’umanità fece affidamento alla memoria collettiva.

[2] Cliges, Chretien de Troyes, pp. 79, In tal caso il termine “amico” ha significato di “amante”.

[3] Cliges, Chretien de Troyes, pp. 24, anche in tal caso il termine “amico” ha significato di “amante”.

[4] Cliges, Chretien de Troyes, pp. 15.

[5] Goffredo presentò l'Historia come un'opera storiografica, e come semplice traduzione in latino di un non meglio precisato liber vetustissimus di cronache in gallese, fornitogli dall'arcidiacono Gualtiero, rettore del collegio dei canonici secolari di Saint George, a Oxford, in cui Goffredo si trovava. Se questo sia da considerarsi vero è controverso. Alcuni studiosi hanno messo in dubbio che il liber vetustissimus sia realmente esistito e che Goffredo potesse avere le conoscenze linguistiche necessarie per tradurre dal celtico. John Morris in The Age of Arthur, per esempio, definisce la Historia un "falso deliberato". Se il liber vetustissimus fosse un'invenzione, fra le fonti di Goffredo potrebbero trovarsi Nennio (VIII-IX sec.) e Gildas (V-VI sec.). Se invece il liber fosse veramente esistito, l'opera di Goffredo rappresenta la prima trascrizione in latino di opere tradizionali gaeliche. Nennio oltretutto non sarebbe del tutto un personaggio storicamente esistito e il nome in vero celerebbe due uomini parzialmente leggendari citati nell’Annales Cambriae. Qualunque sia il caso che volessimo considerare Chretien altro non avrebbe fatto altro che usare opere di altri per servire i suoi protettori ed estimatori.

[6] Man a mano che una famiglia cresce in verticale e quindi ci sono più generazioni successive, ogni nuovo individuo ha la metà del patrimonio genetico (con tutto ciò che esso contiene) del genitore che lo ha generato, un quarto dei nonni, un ottavo dei bisnonni e un sedicesimo dei trisavoli. Oltre un certo limite il legame di consanguineità era come se non esistesse e il matrimonio tra consanguinei era possibile, purché avessero in comune il lignaggio.

[7] Soissons è un comune francese di 29.997 abitanti situato nel dipartimento dell'Aisne della regione della Piccardia (Nord della Francia), è una delle più antiche città francesi, antica capitale dei Suessioni. Soissons deve il suo nome ai Suessioni, una tribù della Gallia Belgica menzionata da Gaio Giulio Cesare nel De bello Gallico, prima si chiamava Noviodunum e prese il nome di Augusta Suessionum; divenne dopo Reims la città più importante della provincia romana della Gallia Belgica. Dopo la caduta dell'Impero romano d'Occidente, i Franchi, guidati dal re merovingio Clodoveo ne fecero la capitale del regno e poi la città divenne capitale del regno di Neustria.

[8] Sono un gruppo etnico Germanico, nativi delle zone costiere dell'Olanda e della Germania. sono concentrati nelle provincie olandesi del Friesland e di Groningen ed, in Germania, nella Frisia orientale e settentrionale, quest'ultima appartenuta alla Danimarca fino al 1864. Storicamente, la regione occupata dai frisoni è conosciuta come Frisia. La Lingua frisone (in tutte le sue varianti) è ancora parlata da quasi 500.000 persone; dialetti del frisiano sono riconosciuti come lingue ufficiali sia in Olanda che in Germania.

[9] In questo modo non solo si poteva compiere la vendetta su di una famiglia, in senso orizzontale, ma anche sulle generazioni, in senso verticale (quindi sui figli, nipoti, ecc.).

[10] Sentenza scritta dal Parlamento di Parigi

[11] Tempo stimato necessario affinché i parenti fossero debitamente avvertiti del pericolo.

[12] Tale regola era valida ancora sotto il regno di Luigi IX detto il Santo.

[13] La fonte originale di Bloch è di Raoul Glaber, (in italiano . Rodolfo il Glabro), noto anche come Raoul Le Chauve fu un monaco e uno dei maggiori cronisti d'età medievale. Di natura irrequieta, vagò per diversi monasteri della Borgogna, finché trovò asilo a Cluny, dove, nel 1047, terminò di scrivere cinque libri: gli Historiarum libri quinque dove fornisce indicazioni per il periodo attorno all'anno Mille. I suoi racconti storiografici sono spesso diretti all'interpretazione delle calamità (come le carestie) o dei fenomeni naturali (come le eclissi) quali segni premonitori della fine del mondo, e per tale ragione i suoi lavori sono di frequente citati come prova delle cosiddette paure dell'anno mille; tuttavia egli in effetti non situa nell'anno mille la fine del mondo, ed anzi i suoi lavori sono di qualche decennio successivo.

[14] Nessuno di fatto però si impose mai veramente contro le faide, anche quando nascevano per futili motivi o quando il bisogno della vendetta sconfinava ai limiti della follia umana e si risolveva in un massacro. Da parte loro le istituzioni pubbliche, se così possiamo chiamarle considerando i tempi, limitarono gli eccessi quando era proprio necessario, ma come detto, dovevano anche per ragioni di sicurezza propria schierarsi dalla parte del più forte. Fu doloroso il tentativo di stabilire la tranquillità interna che, durante tutta l’era feudale, fu uno dei sintomi più evidenti dei mali contro cui il mondo tentava di reagire.

[15] La fonte originale di Bloch è di Raoul Glaber, (in italiano . Rodolfo il Glabro), noto anche come Raoul Le Chauve fu un monaco e uno dei maggiori cronisti d'età medievale. Di natura irrequieta, vagò per diversi monasteri della Borgogna, finché trovò asilo a Cluny, dove, nel 1047, terminò di scrivere cinque libri: gli Historiarum libri quinque dove fornisce indicazioni per il periodo attorno all'anno Mille. I suoi racconti storiografici sono spesso diretti all'interpretazione delle calamità (come le carestie) o dei fenomeni naturali (come le eclissi) quali segni premonitori della fine del mondo, e per tale ragione i suoi lavori sono di frequente citati come prova delle cosiddette paure dell'anno mille; tuttavia egli in effetti non situa nell'anno mille la fine del mondo, ed anzi i suoi lavori sono di qualche decennio successivo.

[16] In Inghilterra, è però da precisare, dopo la conquista normanna, la scomparsa di ogni diritto legale di vendetta fu uno degli aspetti della tirannide regia.

[17] Una legge tale permetteva al signore stesso di arricchirsi e quindi egli sarebbe stato, oltre che sordo alle prediche della Chiesa e dei pacieri, favorevole alla criminalità. In epoca medievale le leggi ad personam furono un motore, non poco difettoso, che scatenarono le più sanguinose faide famigliari.

[18] Quando non erano i parenti, era il signore della vittima o un suo vassallo, per una vera assimilazione del vincolo di protezione e di dipendenza personali col rapporto di parentado.

[19] Sebbene Edoardo avesse una politica molto pacifista, è difficile credere che il pagamento di un’ammenda bastasse a calmare un cadavere che gridava vendetta e un giustiziere bramoso di lavorare, considerando il periodo medievale e in assenza di fonti scritte sicure (e non dettate da una qualche mente che mirava a ingraziarsi il re). Anche nella famiglia di Edoardo il vincolo di sangue creò una sorta di guerra civile tra sassoni e normanni. Nel 1060 Edoardo ricevé il duca Guglielmo II di Normandia (chiamato poi il Conquistatore), e in quell'incontro definì la successione al trono d'Inghilterra: il suo erede sarebbe stato Guglielmo (con il quale non v’erano vincoli di sangue) e non Harold (il genero, oltre che figlio della cognata. Edoardo aveva infatti sposato la sorella della madre di Harold). Ma nel 1066 alla morte di Edoardo, proprio il giorno del suo funerale, Harold, contro le ultime volontà del suo re, con l'appoggio della Witan (era un'istituzione politica nell'Inghilterra anglosassone operante tra il 600 e il 1000 circa), si fece incoronare re con il nome di Aroldo II d'Inghilterra, non curandosi della promessa fatta in Normandia a Guglielmo di sostenerlo nell’ascesa al trono, di quel giuramento di vassallaggio. Guglielmo di Normandia allora, venuto a conoscenza della grave fellonia, preparò l'invasione dell'Inghilterra che realizzerò approfittando dell’attacco ad Aroldo II di un altro pretendente al trono d’Inghilterra, il Re di Norvegia Harald III (che reclamava un antico accordo tra Canuto e Magnus di Danimarca, accordo secondo il quale, se uno dei due sovrani fosse morto senza eredi, l’altro sarebbe divenuto re di Inghilterra, dunque Canuto era morto senza eredi e ora l’erede di Magnus reclamava il trono). Alla fine Harald III morì prima dello sbarco di Guglielmo dopo aver indebolito il nemico e quando il Conquistatore arrivò, una buona parte del lavoro sporco era già stata fatta. Questa storia basta a rappresentare da sé un esempio di cosa poteva comportare essere parenti, specialmente di un re e di come il vincolo di sangue fosse più che un vantaggio un’insidia.

[20] In vero non fu così per tutto il Medioevo, solo nei primi secoli. Durante l’anarchia dei secoli X e XI persero la capacità di reclamare qualsiasi cosa. Fu probabilmente per essi un periodo fortunato, tanto più che i “prezzi dell’uomo” tenevano anche conto delle condizioni sociali di ognuno, c’era più gusto per loro che cadesse la testa di un nobile di quella di un contadino. Amara constatazione, visto che i plebei erano le vere spalle della società e la vera forza lavoro e la loro vita, tradotta in termini economici, era in pratica inestimabile.

[21] Gruppo familiare allargato che copre diverse generazioni, formatosi con un tacito accordo (ricordarsi di quanto detto sopra della comunità tacita), per operare in comune la terra e condurre una vita di comunità. Diffusa soprattutto nel XIV e XV secolo, nel sud della Francia, rimasero fino alla fine dell'Ancien Régime.

[22] Il termine fuoco indicava, dal Medioevo fino ai primi del IX secolo, la singola unità familiare soggetta a fiscalità; in particolare su esso si basava la tassa personale detta Focatico. Il Catalogus baronum fu il primo registro catastale del Regno di Sicilia. Redatto dai Normanni nel 1150 circa, è la lista di tutti i vassalli del sud Italia, dei loro possedimenti e redditi e della popolazione a loro assoggettata, indicata appunto in fuochi. Da queste rilevazioni l'autorità centrale stabiliva quante truppe doveva fornire ogni vassallo al suo signore, in ragione di una lancia ogni 24 fuochi. Bisogna comunque tenere presente che il numero di fuochi non comprende tutte le famiglie di un determinato feudo o villaggio, ma solo quelle soggette a tassazione e non quelle franche (libere) per privilegio o per altre ragioni.

[23] Così la solidarietà si estendeva anche a livello fiscale, nel contesto economico.

[24] Trasmissione o passaggio di un diritto, del godimento di un bene da una persona a un'altra, per effetto di una legge, di un contratto, di una disposizione testamentaria.

[25] La comunanza di beni non aveva però così tanti vantaggi e un esempio storico, dal XII secolo, ce lo offre il nobile e trovatore Bertran de Born. Figlio maggiore del Signore di Hautefort, aveva due fratelli, Costantino e Itier. Suo padre morì nel 1178 e Bertrand gli succedette come barone. All'epoca era già sposato alla sua prima moglie Raimonda e aveva già due figli. Il suo feudo, incuneato tra il Limosino e il Périgord, si trovò coinvolto per la sua posizione nel conflitto tra i figli di Enrico II Plantageneto. Inoltre Bertrand, secondo le leggi vigenti all'epoca, non era l'unico signore del suo regno, ma la sua carica doveva essere amministrata con il contributo dei suoi fratelli: una strategia valida per molti feudi, nata per le ingerenze del Conte di Tolosa che voleva così tenere sotto controllo l'influenza dei feudatari locali, incoraggiando i conflitti interni nelle famiglie. Le contese di Bertran, specialmente riguardo al fratello Costantino, furono al centro di una vasta produzione poetica, dominata da temi politici. Nel 1182 fu alla corte di Enrico II d'Inghilterra a Argentan e lo stesso anno appoggiò la ribellione di Enrico il Giovane contro suo fratello minore Riccardo I, conte di Poitou e duca di Aquitania. Suo fratello Costantino essendo nello schieramento opposto, venne scacciato dal castello di famiglia da Bertrand nel luglio di quell'anno. Nel mentre pare che Bertran sia diventato vedovo e si sia risposato, avendo altri figli dalla seconda moglie, ma nel 1196, divenuto vedovo per la seconda volta, si fece monaco presso l’ordine cistercense nell'abbazia di Dalon, verso la quale egli fece generosi lasciti e donazioni nell'arco di vari anni. Il suo feudo passò probabilmente al primo figlio, avuto dalla prima moglie ma non si hanno notizie certe. L’esempio del suo feudo è fedele a quanto detto nel testo, in merito alla comunanza di beni, una strategia voluta e imposta, spesso da parte di signori più grandi, per mantenere il controllo su tutto il territorio e se vogliamo usare una locuzione latina, era il divit et impera che permetteva di governare molti tenendoli divisi.

[26] Barone è termine d'origine germanica, da bara o baro, che significava uomo libero o guerriero, e che latinizzato diventò baro, baronis. A partire dall'età moderna il titolo di barone è il "più basso" dei titoli feudali, benché possa anche essere concesso senza connessione con un feudo, come avviene nelle concessioni moderne, successive al periodo feudale. Il titolo ha una storia complessa e se ne hanno notizie dal X secolo nel territorio del Sacro Romano Impero. Si tratta inoltre di un titolo che non aveva lo stesso valore ovunque e cambiava persino all’interno dello stesso S.R.I. In Italia, dal 1948 i titoli nobiliari non sono riconosciuti per disposizioni transitorie e finali della Costituzione della Repubblica Italiana.

[27] Dinastia francese che prese nome da Bosone il Vecchio, duca dei Franchi e conte del Valais, vissuto nel IX secolo. I Bosonidi furono conti, duchi e vescovi durante l'epoca Carolingia. Membri della famiglia si unirono in matrimonio con la dinastia reale Carolingia. Il più grande membro della dinastia bosonide fu Bosone I di Provenza.

[28] Che è in antinomia; antitetico, contraddittorio, contrastante. [Der. di antinomia].

[29] Autore di un trasferimento o allontanamento irreversibile. [Dal lat. tardo alienator -oris, der. di alienare 'alienare'].

[30] Non va dimenticato che la Chiesa del Medioevo è una chiesa agli inizi della sua storia, specie se consideriamo che fino al IV secolo la religione cristiana non era ancora religione dell’Impero Romano, sotto Costantino e non possiamo fare oggi dei moralismi che a distanza di duemila anni sarebbero inutili e senza senso. Non va inoltre dimenticato che la Chiesa è sempre stata fatta di uomini, con tutte le debolezze dell’essere umano e sarebbe necessario un discernimento tra uomo/umano e Dio/divino per evitare di cadere in un equivoco che troppo spesso accompagna la mentalità collettiva nei riguardi della religione e della Chiesa soprattutto. Nel contesto storico la ricchezza della Chiesa, accumulata proprio con donazioni e offerte, sollecitate per il bisogno di “guadagnarsi” la salvezza, in epoca medievale soprattutto, fu una piaga, una dolorosa piaga peggiorata da fattori politici come la creazione dei vescovi conti (X secolo, per opera di Ottone I) e la lotta per le investiture (XI secolo, con Enrico IV) che portò anche gente senza scrupoli alla carriera ecclesiastica; per non parlare di tutti quei figli “senza terra” che le case nobili e regnanti non sapevano dove mettere, dato per scontato che quei figli non avevano nessuna vocazione. Pochi erano gli ordini che praticavano una vita povera, casta dedicata interamente a preghiera e lavoro, che vivevano di elemosine e offerte piccole ma sincere e non di interi vagoni dorati di un qualche nobile che mirava a comprarsi la salvezza dopo aver fatto un massacro. Con San Francesco d’Assisi la povertà della Chiesa fu fortemente esortata contro la ricchezza che derivava dal Male, dal denaro che lo stesso Francesco definì “lo sterco del diavolo”. Sia inoltre da ricordare che già comunque nel Medioevo la Chiesa si definiva una entità assolutamente indipendente ed autonoma rispetto al potere monarchico dei sovrani europei i quali invece non potevano dire altrettanto, se si aggiunge il fatto che le incoronazioni e dunque il potere era la Chiesa stessa che lo riconosceva loro in una forma di “giuramento vassallatico” dove si giurava a Dio. Essendo un’istituzione a parte la Chiesa non si sentiva vincolata ai monarchi e questo fu uno dei motivi che spinsero la lotta per le investiture, specie dopo la trovata di Ottone I, quasi duecento anni prima, di dare ai vescovi cariche nobili e civili oltre che feudi ereditabili. Riconoscendo ad ogni individuo il suo possesso e la libertà di disporre dei beni che aveva, la Chiesa esortava le offerte e da parte loro chi poteva, donava, anche terre e immobili e non c’era dunque nessun interesse, della Chiesa medievale, di togliere ad un individuo quella “libertà”.

[31] Legge tratta dal Lex Saxonum, una serie di leggi emesse da Carlo Magno nel 785 come parte del suo piano di soggiogare la Sassonia. La legge è quindi un “compromesso” tra i costumi tradizionali e gli statuti dei pagani sassoni e le leggi stabilite dell'impero dei franchi. La Lex Saxonum è giunta fino a noi in due manoscritti e due vecchie edizioni (quelle di B. J. Herold e du Tillet) e il testo è stato modificato da Karl von Richthofen nel Monumenta Germaniae Historica, un’altra raccolta del XIX secolo, che raccoglieva opere dall’Impero Romano al XVI secolo.

[32] Privazione o perdita di un'eredità, o anche esclusione di un erede (previsto dalle antiche leggi, ma oggi in Italia non esiste più). Da non confondere con la mancanza di eredi che però non escludeva la possibilità in epoca medievale, per necessità dell’alienatore di un bene, di donarlo o cederlo ad un nobile o un signore.

[33]  Ricompensare adeguatamente un merito. Dal lat. tardo remunerare, class. remunerari, der. di munus -ëris 'dono', col pref. re-; propr. "restituire il dono”.

[34] Essa appariva già dalla seconda metà dell’XI secolo nella Francia medievale, in un testo dei monaci benedetti di Saint-Florent, in un testo noto anche come Le Livre Noir de Saint Florent de Saumur, un testo raccolta di notizie che vanno dal 1150 al 1190.

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