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Frassinoro nel Medioevo
Nella seconda metà dell’Ottocento, sotto le fondazioni dell’abbazia, furono trovati alcuni materiali di età preistorica che finirono in mano privata. Gli oggetti, che figurano in un elenco inviato al Pigorini, erano: una freccina di bronzo, un pettine di corno di cervo ed un’accettina di porfido verde. Pettini d’osso, asce di pietra levigata e punte di freccia di bronzo ed selce sono strumenti che si possono trovare negli insediamenti dell’età del Bronzo (II millennio a.C). la possibilità di un’associazione delle tre classi di materiali suggerisce questa bassa cronologia anche per l’accetta litica che, in forma pressoché immutata, si riscontra già a partire dall’Eneolotico, a cui solitamente è stata ritenuta pertinente.
Nel nostro caso, la testimonianza, pur valida come indice di frequentazione, è per ora del tutto sporadica e non ricollegabile ad altre tracce sul terreno riferibili allo stesso arco di tempo.
Lettere di un’iscrizione romana sono apparse sulla faccia superiore di una pietra di imposta altomedievale, spettante forse ad una fase architettonica precedente alla costruzione matildica.
Per questo capitello fu utilizzata una lastra iscritta di età romana in marmo di Carrara, ridotta a forma pressoché quadrata, e fortemente scalpellata sul lato destro che doveva finire incassato nella muratura. A sinistra, su quattro righe, restano le seguenti lettere:
«…ELIO…/…HRO…/…RAT…/…AVDE…
Difficilmente integrabili tra loro. L’ipotesi di lettura più probabile (se si interpreta la prima riga come residuo del gentilizio Aurelius, la seconda come parte del cognomen Epaphroditus e la terza residuo della formula arbitratu fa pensare ad un’epigrafe funerari.
Nell’ultima linea cui si deve attendere un gentilizio al genitivo dipendente da arbitratu e spettante al curatore del sepolcro. Meno probabile che ci si trovi di fronte all’attestazione di un culto siriaco-orientale, che potrebbe essere suggerito dallo scioglimento della prima linea. Anche i caratteri ed il formulario dell’epigrafe (se sono validi gli scioglimenti proposti) fanno rientrare l’iscrizione romana nell’ambito del I secolo d.C.
In ogni caso il reimpiego che fu fatto dell’antica epigrafe assieme ad altri marmi lunensi e colorati forse in opera in un edificio prematildico, impedisce di supporre che l’iscrizione sia sicuramente locale e non invece importata, come forese il resto del materiale marmoreo.
Numerosi sono infatti i reperti di marmo apuano che, ancora oggi, sono visibili accatastati in un moderno locale che funge da deposito, oppure reimpiegati o murati nell’attuale chiesa parrocchiale e nella canonica, riferibili ai secoli IX e X alcuni e di epoca matildica altri.
La datazione anteriore alla fondazione dell’abbazia può confermare le ipotesi che ritengono esistenti a Frassinoro, passaggio obbligato lungo la Via Bibulca, edifici sacri probabilmente collegati ad un hospitalis, del tipo di quelli sparsi lungo tutta la Via Bibulca a partire dal passo di San Pellegrino, d’altra parte è plausibile supporre l’esistenza di altri ospizi, come quello localizzabile nella zona di Prati di San Geminiano.
Se non si hanno dati documentati che confermano l’esistenza di una cappella con ospizio dipendenze da San Benedetto Poliron, tendente ad attribuire beni allodiali [1] in questa area al capostipite dei Canossa, è certo peraltro che tale famiglia poteva disporre del territorio di Frassinoro nella seconda metà del XI secolo, se la margravia [2] Beatrice dispone l’erezione del monastero, cui dona all’atto della fondazione nel 1071, dodici corti «Roncosigifredo, Carpineta, Vitriola, Antinano, Verabio, Puliano, Isola, Budrione, Campagnola, Mothulo, Razolo », con le relative chiese, rocche ed i beni ad esse spettanti.
Sulle proprietà periferiche il monastero non esercitò, probabilmente, che diritti patrimoniali, ma sulle tre corti di Roncosigifredo, Medola e Vitriola, non lontane da Frassinoro, acquisì un’autorità civile ed ecclesiastica, sottraendo le rispettive chiese alla giurisdizione della Pieve di Rubbiano, salvo poi restituire a quest’ultima la Chiesa di Roncosigifredo al momento della ricostruzione nel 1278, nella Cappella di San Michele di Montefiorino che, come dipendeva dalla Chiesa di Vitriola, il monastero volle avocata a sé.
Il dominio temporale della Badia non subì gravi scosse fino alla metà del XII secolo, quando l’abate esercitava il potere spirituale e temporale. Abitava nel castello di Frassinoro, innalzato su di un’altura ad ovest del monastero, in una località che tutt’ora chiamiamo Castello.
Il monastero venne ampliando i propri domini nel tempo come conferma anche il diploma imperiale di Federico I del 1164 , appartengono a questa data, a Frassinoro, anche le corti di Medola, Roncosigifredo, Vitriola, Isola, Ligonchio, tredici mansi della corte di Antognano, interamente o parzialmente anche i castelli di monte d’Asta, Percigolo, Massa e Gusciola, chiese Montebaranzone, in Garfagnana e a Monzone in diocesi di Reggio Emilia; l’ospizio di San Geminiano, le corti di Reggiolo, Campagnola, Budrione, Cannitulo e Muntirone; al monastero inoltre si riconosce il diritto di tenere mercato in Medola e di custodire la strada che passa per il territorio dal ponte di Cornilio, sino a Chiozza di Garfagnana, ed oltre.
Figura 1 – Antica struttura della torre (a sinistra) e versione moderna della torre campanaria di Frassinoro
Figura 2 – Probabile struttura interna della torre campanaria nel Medioevo.
Figura 3 – Struttura interna (probabile) dell’ultimo piano della torre campanaria di Frassinoro in epoca pre- e post-matildica.
Figura 4 – Torre campanaria di Frassinoro, probabile rivestimento ligneo di epoca medievale e attuale (ovviamente oggi è stata rimaneggiata per una maggior sicurezza).
Figura 5 – Struttura della casa del sagrestano attaccata alla torre in epoca medievale e presente fino al secolo scorso, oggi rimane solo la torre campanaria.
Figura 6 – Ipotetico arrendamento interno della casa sagrestana in epoca medievale e oggi scomparsa.
Figura 7 – Ipotetico arredamento interno del monolocale sagrestano in epoca medievale, la porticina porta alla canonica, piccolissima, da cui si accedeva alla chiesa.
Figura 8 – Piccolissima canonica adiacente alla struttura della chiesa romanica di Frassinoro.
È in questo torno di anni che il monastero comincia ad entrare in crisi per via delle liti con il Comune di Modena, che mirava a sua volta ad estendere la sua giurisdizione sulle zone montane e, pertanto, anche su quelle che ormai erano note come Terre della Badia, con cui sono conosciute tutt’ora. I giuramenti al comune di Modena degli uomini delle Terre della Badia, avvenuti negli anni della seconda metà del XII secolo (1173, 1197, 1200, 1205, 1261), se testimoniano la resistenza del monastero all’avanzata del comune di Modena, confermata dai gravi fatti d’arme di quel periodo, documentano anche la fine del potere temporale del monastero delle Terre della Badia. I giuramenti consentono di indicare gli insediamenti più rilevanti del territorio: Cerredolo, Cisana, Massa, Cornilio, Mogno, Farneta, Vitriola, Costrignano, Susano, Savoniero, Boccassuolo, Casola, Serradimigni, Lago, Medola, Naredola, Sassatella, Cargedolo, Riccovolto, Sassolato, Tolara, Frassinoro e Roncosigifredo.
Non più soggette all’autorità dell’abate, molte di q ueste ville si ergono a comune tra la fine del XII e gli inizi del XIII secolo, costituendo un’associazione detta Comunanza dell’Abbazia, che manterrà le sue prerogative fino al XIV secolo, per diminuire progressivamente d’importanza nel corso del XV secolo, quando parte delle terre un tempo dipendenti dal monastero saranno comprese nella Podesteria di Montefiorino.
Da un campione delle proprietà del monastero dei primi anni del XV secolo (1428), di cui rimangono alcuni estratti trascritti nel 1567, si può dedurre che le Terre della Badia assommavano complessivamente a 18.000 ha., comprendendo tutto il corso del torrente Dragone e parte del Dolo, giungendo fino al confine con Garfagnana. Il territorio era scarsamente popolato (da un documento del 1173, in base al numero di firmatari di un giuramento, non si calcolano più di 3000 abitanti su 17 Kmq), ma occorre considerare anche che la parte meridionale della zona era occupata da una vasta selva, meglio nota anche come Selva Romanesca, a quel tempo totalmente disabitata ed oggi scomparsa.
Le Terre della Badia erano percorse dalla Via Bibulca, che proveniente dalla Garfagnana e da San Pellegrino in Alpe, toccava Frassinoro e poi scendeva al Dolo presso il ponte di Cornilio. Era di pertinenza dell’abate tenerla in buono stato, proteggendo i viandanti dai briganti che l’infestavano, riscuotendo i relativi diritti di pedaggio. La decadenza del monastero, iniziata nel XIII secolo, continua in modo irreversibile nel XIV secolo, pur possedendo ancora molti beni nelle Terre della Badia e in pianura, il monastero è ormai in rovina e senza monaci (ne ospitava non più di 50 già agli inizi del XIII secolo). All’ultimo abate regolare, tale Leonello de’ Nobili, morto nel 1473, che restaurò la canonica e ricostruì la chiesa, succedettero abati commendatari [3], finchè nel 1585 il Pontefice Sisto V unì i beni della Badia al collegio dei Maroniti.
Il 17 aprile 1771 il Duca di Modena, Francesco III ordinò il sequestro dei beni e dei redditi della Badia, devolvendoli a vantaggio del patrimonio dell’Opera Pia di Modena. Distrutta l’abazzia già forse nel XV secolo, la chiesa, divenuta poi parrocchiale con la dedica alla Beata Vergine assunta, aveva nel secolo scorso impianto geometrico e al centro un vasto cortile quadrangolare; si conservano di essa qualche fotografia e la mappa catastale del 1900. Nel ’43 l’arciprete Don Romeo Spattini, in un pazientissimo risanamento della canonica e della casa dei contadini trovò un arco in blocchi di calcare ed un altro sormontato da un architrave di sasso, ma anche questi manufatti finirono distrutti negli anni ’50-60 quando fu compiuta l’ultima e definitiva ristrutturazione del complesso della chiesa, della canonica e della casa colonica. Si può quindi dire che oggi, dell’antica chiesa medievale di Frassinoro rimane davvero poco.
Nel 1971, in occasione dei 900 anni dalla fondazione dell’abbazia, fu edificato un locale attiguo alla torre campanaria con funzione di deposito per il materiale scultoreo riconducibile all’antica abbazia medievale. altri frammenti sono stati reimpiegati all’0interno della chiesa parrocchiale o murati nella facciata della canonica, mentre si possono vedere ancora nel cortile antistante la chiesa, capitelli, colonne e quattro conci romanici.
Lo stato attuale dei frammenti di scultura di Frassinoro, avulsi dal contesto originale e spesso manomessi con restauri pesanti, non consente di individuare la precisa collocazione originaria, tuttavia si tratta per lo più di scultura architettonica, capitelli e di qualche sporadica lastra decorativa, il cui collegamento con la coeva scultura altomedievale italiana permette l’approssimativa datazione e l’attribuzione alla cosiddetta arte matildica, termine legittimo soltanto come connotazione spazio-temporale e non come intrinseco al fenomeno artistico, in sé inquadrabile invece nell’ottica più generale dell’arte preromanica.
L’assenza totale di materiale scultoreo altomedievale nel resto del comune e l’uso del marmo a Frassinoro confermano il reimpiego di materiale, probabilmente lunense, nella costruzione più importante della zona, qual era l’abbazia, sorta anche con funzione di controllo del territorio.
Inoltre, l’ubicazione del monastero lungo canali di diffusione di cultura ed esperienze artistiche diverse non va sottovalutata. Basti pensare alla celebre colomba eucaristica in rame smaltato, ancora oggi custodita a Frassinoro dalla parrocchia e databile ai secoli XII-XIII.
Per quanto riguarda il centro abitato, a causa degli interventi radicali ed estesi a tutti gli edifici, due soli presentano interessanti materiali di reimpiego, in uno si hanno tra conci d’angolo decorati con cordonature e losanghe, mentre nell’altro un portale tamponato con architrave su cui sono scolpite a bassorilievo le sagome di tre oggetti. Da sinistra si hanno l’orma di un piede, un calice ed una sagoma di difficile interpretazione, confrontabile tuttavia con un’altra simile su di un’altra architrave di Montecuccolo di Pavullo. Nella zona Castello di Frassinoro, inoltre si trova anche un edificio di recente costruzione che presenta scolpito sul portale di ingresso uno stemma cardinalizio con leone rampante e fascia trasversale con tre stelle.
Il mercato vecchio di Frassinoro ed il suo mulino
Nel diploma di conferma firmato nel 1164 da Federico I imperatore, figura anche il diritto di tenere mercato «supra roccam de Metula in secundo sabbato uniuscuiusque mensis». Si tratta del cosiddetto mercato di metà del mese, uno dei più importanti delle Terre della Badia, che si teneva in quella che è oggi la borgata di Mercato Vecchio. Qui venne oltraggiato, nel 1210, in segno di ribellione al comune di Modena, il nunzio del medesimo, ciò diede motivo ai modenesi di devastare le Terre della Badia. Secondo la tradizione locale, qui sarebbe stata in passato una chiesa e l’abitazione ducale, distrutte da una delle tantissime frane che in più riprese hanno devastato il territorio stesso. Il borgo ha subito anche, recentemente, numerosi interventi che dell’impianto originario hanno risparmiato solamente una pregevole finestra rinascimentale.
Per quanto riguarda invece, il mulino di Mercato Vecchio, si tratta di una costruzione in sasso con impianti lignei. Sono conservati gli ingranaggi in legno e le macine in pietra. L’edificio e le attrezzature interne, oggi non sono più funzionanti ormai da trent’anni e sono conservate in buono stato. All’esterno del mulino is trova invece il mozzo ligneo.
Fonti
- AA.VV. Insediamento storico e beni culturali alta Valle del Secchia. Modena: Cooptip - Modena, 1981.
- Encarta, Microsoft ®. s.d.
Note
[1] In antichi ordinamenti giuridici, patrimonio, generalmente fondiario, in piena proprietà e non sottoposto a oneri e vincoli feudali.
[2] Durante il Sacro Romano Impero, titolo concesso ai feudatari germanici cui era affidato il governo delle zone di frontiera.
[3] Titolare di un beneficio ecclesiastico. Il contraente che nella commenda riceve il capitale da impiegare. Dal lat. mediev. commendatarius, der. di commendare ‘commendare’
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