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Frassinoro: storia di un piccolo cuore della cristianità medievale
Come accade per molte cose nate o mutate nel Medioevo e giunte fino ad oggi, le notizie a nostra disposizione sono ancora una volta poche, talmente poche da chiederci cosa accadde in quel piccolo cuore della cristianità medievale, chiamata Frassinoro, dove da dodici anni ormai, ogni anno alla fine di luglio, si tiene la festa matildica, in onore di una donna che probabilmente di Frassinoro conosceva solo il nome per sentito dire e per la quale aveva fatto costruire una chiesa ed un’abbazia che ancora oggi sono là dove uomini e donne sono stati battezzati, cresimati, sposati e benedetti da defunti e dove i loro cari sono andati a dare loro l’ultimo saluto, là dove le antiche e millenarie pietre invecchiano e vedono il mondo mutare, evolversi o forse stare fermo ad aspettare, a domandarsi e a cercare risposte, a pregare e chiedere una grazia.
Il nome di Frassinoro
Secondo la tradizione il nome “Frassinoro” deriva da un'immagine della Vergine che viene di solito rappresentata appesa ad un frassino mentre irradia, con i suoi raggi d'oro, i valichi dell'Appennino. Il nome però potrebbe derivare dalla possibile esistenza di un frassino (Fraxinus gen., Oleaceae) presso il quale nel VIII secolo sarebbe stata costruita una cappella con annessa una specie di foresteria per i viandanti ed i pellegrini. Frassinoro si troverebbe infatti anche in una posizione geografica da cui transitavano i pellegrini per raggiungere Roma e la Terra Santa, ma non solo, anche per raggiungere San Pellegrino in Alpe, oggi al confine tra Emilia Romagna e Toscana e dove si trovano le sante reliquie dei Santi Pellegrino e Bianco.
Le fonti archeologiche hanno confermato che l’origine del piccolo borgo è databile all’Alto Medioevo, ma probabilmente il posto aveva un nome latino da cui potrebbe derivare il nome con cui il paese viene oggi chiamato. In latino il frassino era chiamato fraxĭnus (sostantivo femminile), ma era anche noto semplicemente come ornus. Se il paese avesse avuto origine dal nome scientifico del frassino, specie quello da manna (Fraxinus ornus), in effetti il nome in latino assomiglia molto a quello moderno, ciò non sarebbe strano anche perché il Frassino è una specie che cresce nell’Appennino emiliano e si tratta non solo di una specie che viene utilizzata a scopi medicinali (la corteccia in quanto ricca di tannini e le foglie per la produzione di tisane e bevande alcoliche aromatizzate), ma anche di una specie impiegata fin dal passato per la produzione di legame, poi destinato alla costruzione di case, utensili e aratri da traino in quanto leggero ma straordinariamente resistente. In epoca medievale il legno era fondamentale per le costruzioni edili, per l’agricoltura e la medicina non esisteva e le piante rappresentavano una fonte non solo di legno, ma anche di alimento e prodotti terapeutici per l’uomo. Se il nome prende origine da quello della pianta o no, è comunque legato ad essa e alla prima cappella che qui fu costruita. Non solo, detta cappella si trovava anche sulla Via Bibulca [1] e Frassinoro diveniva così un’importante stazione di transizione delle vie dei pellegrini durante il M edioevo.
Questioni di famiglia o di fede?
Se Frassinoro sorse inizialmente con solo una cappella per pregare ed un ospizio per sostare e riposare, è probabile che più che case attorno a questo luogo, fossero sorte inizialmente altre strutture destinate ad un uso spirituale e religioso. Secondo le fonti scritte risalenti al periodo medievale, nel 1071 Beatrice di Lorena e sua figlia Matilde fondarono l’abbazia di Frassinoro. È probabile però che l’iniziativa fosse stata di Beatrice, già di 54 anni ed i lavori diretti da suoi vassalli fedeli; Matilde allora non era nemmeno ventenne ed ereditò le terre di sua madre solo nel 1076 quando Beatrice morì. Il periodo durante il quale sorse l’abbazia di Frassinoro furono per altro periodi turbolenti per la famiglia dei Canossa e per la situazione politica italiana ed europea in genere. Grazie ai matrimoni di interesse i Canossa erano imparentati sia con la famiglia imperiale tedesca (Beatrice di Lorena era nipote di Corrado II e cugina di primo grado con Enrico IV, nipote per parte di padre di Corrado II) sia con i papi di Roma (dopo l’assassinio del primo marito, Bonifacio di Canossa, ultimo discendente di questa famiglia, Beatrice si sposò in seconde nozze con il fratello di Papa Stefano IX, che oltre tutto erano suoi cugini). Sia Beatrice sia Goffredo erano alle seconde nozze nella loro unione, con già dei figli dai precedenti matrimoni: Beatrice era madre di tre figli a cui solo Matilde sopravvisse e Goffredo era padre di tre figli, uno dei quali, Goffredo detto il Gobbo andò poi in sposo, anche egli in seconde nozze, a Matilde, sua sorellastra e cugina di quarto grado.
Anche se imparentati con papi ed imperatori i Canossa certo non erano stinchi di santo, tanto da fare queste belle combinazioni famigliari per mantenere o accrescere il potere e soprattutto tenere buoni i due grani nemici: papa ed imperatore che si disputavano il potere ed il diritto di nominare vescovi. L’arma migliore che i Canossa utilizzarono a tal fine furono proprio i matrimoni, oltre tutto, sembra che spesso i partiti scelti per i giovani rampolli appartenessero spesso alla fazione opposta. I Canossa [2] inoltre facevano di per sé parte di un giro noto agli storici come simonia ossia la compravendita di cariche ecclesiastiche, per cui il legame con la Chiesa di allora era a doppio filo: i compratori erano sia personale della chiesa sia diretti vassalli di Bonifacio III e poi dopo il suo assassinio di sua figlia e di sua moglie. Il caos medievale che regnava ai tempi di Matilde non era un caos da poco e l’unica soluzione per porre fine a detto caos e mettere un minimo d’ordine era una guerra definitiva, anche se di guerre ce n’erano già abbastanza.
Sangue tedesco mischiato a sangue papale da cui non sarebbe certo venuto fuori nulla di buono, sembra per altro che Beatrice e Goffredo non abbiano avuto figli e non sono certe le fonti sulla presunta figlia di Matilde ed il suo primo marito: Goffredo il Gobbo. Questa bambina, che Matilde chiamò come la madre, Beatrice, era figlia di un parto difficile che lasciò miracolosamente viva solo la madre (Matilde aveva 25 anni). La mancanza di fonti sicure ed imparziali su Matilde non permette di stabilire se il suo primo matrimonio con questo fratellastro abbia dato seguito ad una certa intesa tra i due sposi, tanto da fare un figlio praticamente l’anno successivo al matrimonio (si sposarono nel 1069, mentre il patrigno di Matilde e padre di Goffredo moriva). Di Goffredo non si hanno notizie circa il suo aspetto, si sa solo che era un giovane coraggioso e retto, ma non bello (gobbo e con il gozzo, probabilmente soffriva di problemi tiroidei insorti durante lo sviluppo) e politicamente di idee diverse da quelle di Matilde. Difficile quindi immaginare che abbiano fatto un figlio a seguito di una brutta sbronza per dimenticare entrambi quella situazione o di un’improvvisa, inspiegabile, quasi sovrannaturale attrazione sessuale che li ha travolti, abbandonati e separati per sempre.
Sia l’età avanzata per quel tempo di Matilde per fare bambini sia la necessità di porre un erede al patrimonio di cui Matilde era insieme alla madre una specie di reggente in nome dei titolari maschi defunti, ma anche probabilmente la paura che senza un erede quei beni sarebbero passati all’imperatore che era anche un diretto parente (Matilde e sua madre appoggiavano il Papa, senza considerare che questa presa di posizione doveva anche avere alla base dei motivi personali, l’imperatore Enrico III aveva preso in ostaggio Beatrice e Matilde quando questa aveva solo dieci anni per dispetto nei confronti di un conclave in atto e di una famiglia sempre più potente come i Canossa); furono probabilmente i motivi che spinsero quella bella giovane dai capelli di fuoco (sembra che Matilde avesse i capelli rossi come sua madre) e di tanta fede a dover adempiere ai propri doveri coniugali, anche per non rendere nullo il matrimonio (bisognerebbe averla conosciuta davvero per capire fino a che punto si spingeva la sue fede, non stupirebbe infatti la possibilità che quel figlio fosse un’arma a doppio taglio anche per la Chiesa). Motivi personali misti a motivi politici ed economici quelli che portarono avanti, ma non a buon fine quella gravidanza da cui starebbe nata una bambina e non un erede maschio (nascita sconosciuta tra la fine del 1070 e l’inizio del 1071, data di morte il 29 gennaio 1071).
È probabile, secondo le fonti scritte a disposizione, che il primo anno di matrimonio Matilde e Goffredo abbiano coabitato presso parenti del ramo materno, quelli della Lotaringia, su persuasione della madre anche se Matilde fosse riluttante al solo pensiero. La nascita di una bambina e la morte della stessa in pochi giorni sembra che diedero inizio per Matilde ad un periodo difficile sia per la ripresa fisica sia per la sua stessa incolumità in quanto il casato di Lotaringia l’accusava di essere una strega e di aver partorito una bambina e non un maschio al suo signore. Nel 1072 Matilde si separò fisicamente dal marito e tornò in Italia, probabilmente fuggì e tornò dalla madre a Canossa. Il 1071, lo stesso anno che Matilde divenne madre e perse la bambina, la notizia della morte della nipote raggiunse probabilmente Beatrice a Frassinoro dove il 29 agosto fece iniziare la costruzione dell’abbazia per la salvezza dell’anima di sua nipote e forse anche per consolidare la posizione di Matilde data l’assenza di eredi sia nei confronti della Chiesa sia nei confronti della famiglia stessa e anche perché come già detto Frassinoro si trovava su una vita di pellegrini. Difficile quindi stabilire se i lavori furono iniziati per motivi di famiglia o per motivi di fede. Sempre nello stesso periodo pare che sia stata avviata la costruzione della Pieve di Sant’Andrea apostolo di Vitriola (Montefiorino, MO).
Piuttosto che all’imperatore, tutto alla Chiesa
Dopo il ritorno di Matilde in Italia, il marito rinettò una riconquista, anche forse per evitare che la moglie e la suocera perdessero troppo potere, escludendolo sebbene fosse lui il proprietario di tutto, come erede e come marito. Doni, armate, gioielli e ricchezze furono inviati fino a Matilde che li respinse e nel 1076 il marito cadde in un’imboscata, fu ferito a morte in modo molto singolare e dopo una settimana morì probabilmente per la setticemia che aveva seguito l’infezione. Pare che la notte del 20 febbraio 1076 si fosse recato presso una latrina spinto dai bisogni corporali e qui sarebbe stato colpito e trafitto con una spada nelle natiche. Colpo simbolico inferto da un amante geloso (non erano rari i casi di matrimoni di copertura per nobili omosessuali) o colpo di umiliazione inferto da un nemico poco paziente, il 29 febbraio 1076 uccise Goffredo lasciando Matilde vedova. Vedova allegra questa Matilde, poco più che trentenne, che non versò al clero neppure un obolo per l'anima del marito ucciso, né fece recitare una messa o gli dedicò un convento, com'era d'uso fare tra i nobili. Come se non bastasse lo stesso anno Matilde perse anche sua madre, che morì il 18 aprile 1076 ed in seguito Matilde stessa fu accusata di omicidio del marito e fu ritenuta responsabile della morte di Beatrice per il dolore causato dal suo gesto criminale.
Criminale o meno, Matilde era ora l’incontrastata padrona di tutti i feudi del padre, della madre e del marito, ma non aveva figli e suo cugino Enrico IV era ormai da anni sul trono imperiale, in aperto contrasto con il papa Gregorio VII per la lotta delle investiture e vantava diritti come parente sui territori di Matilde. L’arroganza di Enrico IV gli costò la scomunica e solo l’anno successivo, nel 1077 stabilì a Canossa un compromesso con il Papa, testimone Matilde stessa.
Il compromesso ebbe vita breve e nel 1079 Matilde scese in guerra e in aperta sfida ad Enrico IV diede tutti i suoi territori alla Chiesa. Fu probabilmente uno dei periodi più prosperi sia per la Chiesa sia per l’abbazia di Frassinoro giacché la donazione di terre andava ad incrementare il potere temporale della Chiesa stessa e dei monasteri. Matilde fu deposta ed il Papa esiliato, ma non era detta l’ultima parola, infatti nel 1084 presso Sorbara (Mo) Matilde sconfisse insieme ai bolognesi (di partito papale) l’armata imperiale.
Nel periodo che va dall’Umiliazione di Canossa alla vittoria di Sorbara, iniziarono sempre sotto il controllo di Matilde i lavori per una prima ricostruzione della chiesa da cui successivamente sarebbero iniziati i lavori per la costruzione del Duomo di Modena [3].
Gloria dell’abbazia di Frassinoro
La gloria dell’Abbazia benedettina di Frassinoro non durò molto, nemmeno una decina di anni dopo, nel 1121, sei anni dalla morte di Matilde, già si creavano le prime lotte “fredde” per il controllo dei territori della Badia a cui miravano in molti, in particolare i modenesi e il di allora abate, Guglielmo, affidò il governo ai Montecuccoli, signori del Frignano e così la Badia entrò a far parte della Corte di Vitriola. Successivamente una coalizione degli stessi Montecuccoli mise a ferro e fuoco il territorio contro i Modenesi mentre altri a tradimento si misero dalla parte dei modenesi stessi con il risultato di un inutile spargimento di sangue e la vittoria della Badia a rimanere indipendente anche se sotto la protezione dei Montecuccoli i quali nel XIV secolo divennero signori di Montefiorino, Guglielmo Montecuccoli aveva infatti fatto ricostruire la rocca e la corte era stata spostata da Vitriola a Montefiorino. Nonostante continui attacchi da parte dei modenesi e dei nemici dei Montecuccoli la Badia di Frassinoro nel corso dei successivi due secoli rimase indipendente e solo nel XV secolo quando salirono al potere gli Estensi, anche la Badia divenne parte del Ducato di Modena e Reggio, mentre oggi fa parte del Comune di Modena e dell’antica Frassinoro medievale rimane solo la Chiesa, poiché sempre nel XV secolo una frana distrusse l'antica abbazia. Oggi restano solo pochi pezzi che vennero utilizzati nella ricostruzione dell'attuale chiesa, del campanile e dell'adiacente canonica.
Colonne e capitelli, scolpiti con vigorosa fantasia ornativa, sono inseriti nelle cappelle, usati come acquasantiere o piedistalli di statue, oppure sovrapposti per formare l'insolita fonte battesimale all'interno della chiesa. Altri si possono vedere sul sagrato o nelle bifore del campanile e della canonica. Alcuni pezzi erratici sono conservati nel museo-deposito annesso al campanile. Vari frammenti (due dei quali sono murati sotto e accanto alla bifora della canonica) presentano rilievi ad intreccio e di gusto lineare ed astratto. Secondo alcuni studiosi risalgono ad epoca altomedioevale e provengono dall'antica cappella che sorgeva nel luogo dove fu poi eretta l'abbazia.
Le sculture dei capitelli in stile classico con rilievi vegetali e la vivacità delle espressioni delle figure animali fanno pensare a rapporti diretti con l'arte toscana (come, ad esempio, il cantiere del Duomo di Pisa) o con la scultura lombarda. Degno di attenzione è un rilievo scolpito su una lastra triangolare, probabilmente dell'XI secolo, che raffigura un personaggio al centro di due griffoni.
Fonti
Bucciardi. Montefiorino e le terre della Badia di Frassinoro. s.d.
Wikipedia. Beatrice di Bar. Vers. ITA. s.d. http://it.wikipedia.org/wiki/Beatrice_di_Bar.
—. Bonifacio III di Canossa. Vers. ITA. s.d. http://it.wikipedia.org/wiki/Bonifacio_di_Canossa.
—. Duomo di Modena. Vers. ITA. s.d. http://it.wikipedia.org/wiki/Duomo_di_Modena.
—. Frassino orno. Vers. ITA. s.d. http://it.wikipedia.org/wiki/Fraxinus_ornus.
—. Goffredo il Barbuto. Vers. ITA. s.d. http://it.wikipedia.org/wiki/Goffredo_il_Barbuto.
—. Goffredo il Gobbo. Vers. ITA. s.d. http://it.wikipedia.org/wiki/Goffredo_il_Gobbo.
Note
[1] La Via Bibulca era un'antica strada romana rimasta in uso sino al XVIII secolo. La Via Bibulca collegava Modena a Lucca come parte di un itinerario molto più lungo: più precisamente iniziava dalla confluenza tra i torrenti Dragone e Dolo in località "La Piana" e finiva al paese di San Pellegrino in Alpe, situato sul crinale dell'appennino tosco-emiliano. Era chiamata anche la Via Imperiale perché il pedaggio costava molto e poteva ospitare un carro trainato da due buoi, un lusso per l'epoca. Nel XVIII secolo cadde in disuso per via di un più fortunato percorso lungo il crinale appenninico. L'antica Via fu in uso nel corso di tutta la storia dell'Impero Romano. All'epoca della Repubblica Romana l'antica tribù de Frinati, facente parte della popolazione dei Liguri mosse guerra ai romani per vent'anni, opponendosi alla conquista. Quando i romani, sconfitte le tribù liguri nel 175 a.C. (Tito Livio), riuscirono a stabilirsi nella zona, costruirono una fitta rete di strade e sentieri. Il nome proviene dal latino bi-: due e bulca: buoi. Alcune fonti riportano tuttavia che almeno parte dei sentieri siano risalenti al periodo preromano. Gli etruschi infatti erano stanziati nella zona e praticavano il commercio con le popolazioni locali. Le invasioni barbariche fecero perdere importanza a questa Via, così come a tutto il sistema viario romano; tuttavia nell'VIII secolo, con Liutprando, venne aperto il Passo delle Radici per collegare la montagna modenese ai possedimenti longobardi della Garfagnana. In età carolingia era chiamata la via nova come risulta da un documento del IX secolo. Il periodo più importante per questa antica Via iniziò con la fondazione dell'abbazia di Frassinoro (1071) da parte di Beatrice di Lotaringia, cosa che fece perdere importanza la Pieve di Rubbiano alla quale fino ad allora era spettata la riscossione dei pedaggi e la manutenzione della strada.
Il percorso fu spesso al centro di contese fra il Comune di Modena e l'abbazia di Frassinoro, al quale fu affidato nel 1164 da Federico I, per via di numerose scorribande che ebbero luogo nella Garfagnana. Lungo il percorso per San Pellegrino in Alpe furono poi costruiti due ospizi per i viaggiatori, quello di San Geminiano (di cui non rimane traccia) e quello di San Pellegrino.
[2] Oltretutto i Canossiani erano completamente inseriti nel sistema che procurava cariche ecclesiastiche in cambio di denaro (esistevano vere e proprie tariffe che richiedevano investimenti di alte cifre) ed essere a capo di una diocesi, di una canonica, di un monastero o di una pieve era fonte di notevoli guadagni e ricchezze. I Canossa erano anche esperti gestori di proprietà altrui: molti signori o ecclesiastici lontani demandavano la gestione di castelli e cittadine che spesso non tornavano in possesso dei proprietari ma restavano a far parte del patrimonio dei Canossa. Alcuni contratti stipulati da Bonifacio prevedevano la "precaria", cioè un'occupazione di tre generazioni in cambio di altri beni; ma bastava che l'occupante non ricambiasse la parola data che si teneva il feudo. Vi erano infine le vere e proprie espropriazioni violente dei beni desiderati: più volte Bonifacio non si fece scrupolo di prendere con le armi le proprietà delle chiese locali. Nel volgere di qualche generazione i Canossa, castello dopo castello, possedevano nei loro beni privati di famiglia tutto il nord Italia.
[3] Il vescovo Eriberto, che però fu scomunicato nel 1081 da Gregorio VII per le sue simpatie per l'antipapa Clemente III e per l'imperatore. La sede vescovile restò allora vacante per diversi anni a causa dell'impossibilita per il papa di trovare un candidato gradito al popolo e al partito imperiale. Il popolo, che avvertiva la necessità di mettere mano a una nuova chiesa, approfittando anche dell'assenza del vescovo, decise di costruire una nuova grande cattedrale, cosicché quando il nuovo vescovo Dodone, nominato pur con qualche difficoltà nel 1100 da papa Urbano II, riuscì a farsi accettare da tutti e giunse a Modena, trovò il cantiere del nuovo Duomo già aperto. La decisione presa dal popolo, in piena indipendenza rispetto ai poteri imperiali ed ecclesiastici, è indicativa dell'aspirazione all'autogoverno e alla libertà dei modenesi. Il Duomo rappresenta dunque il simbolo della rivendicazione di autonomia e libertà di una comunità devota ma insofferente allo strapotere sia imperiale che ecclesiastico, che sfociò qualche tempo dopo nella costituzione del libero Comune (1135).
Una lapide murata all'esterno dell'abside maggiore riporta come data di fondazione della nuova cattedrale modenese il 23 maggio 1099, e indica anche il nome dell'architetto, Lanfranco, maestro ingenio clarus [...] doctus et aptus [...] operis princeps huius rectorque magister ("famoso per ingegno, sapiente e esperto, direttore e maestro di questa costruzione"). La nuova cattedrale, secondo il documento di poco successivo al 1106 della Relatio de innovatione ecclesie Sancti Geminiani (del canonico Aimone di Modena, conservato nell'Archivio Capitolare), fu fortemente voluta dalla popolazione (quindi non solo dagli ecclesiastici) al posto della precedente chiesa, terminata appena trent'anni prima e situata in posizione sfasata, più o meno con le absidi dove oggi si trovano la facciata e la prima parte della navata. Si riporta anche come diede l'assenso all'opera e il proprio appoggio anche la contessa Matilde di Canossa.
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