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La peste e il peccato, la punizione ed il perdono. La spiegazione scientifica alla Peste e l’aiuto delle scienze forensi moderne per ricostruire il contagio e la diffusione.

Nel Medioevo era piuttosto radicata la credenza che le malattie specie quelle infettive fossero dovute a dei peccati e quindi venivano puniti divinamente, ma chi guariva dimostrava di aver ricevuto il perdono o che aveva superato una prova divina di fede, il che potrebbe essere vero, ma i casi sono rarissimi e quasi irrintracciabili nelle fonti storiche, sono supposizioni lasciate alla memoria collettiva.

Ovviamente gli uomini del Medioevo non avevano i mezzi né il modo o le conoscenze per dire che le malattie sono dovute a dei microrganismi patogeni e che si possono trasmettere in mille modi e che il loro ambiente preferito è lo sporco e la mancanza di igiene.

La peste è stata responsabile nel XIV secolo della morte di 25 milioni di persone, il 25% della popolazione europea. Viene trasmessa dalle pulci che attaccano i roditori e i roditori vanno anche loro dove si trova lo sporco e nel Medioevo non è difficile immaginare quanto ce ne fosse e non è quindi nemmeno difficile capire come mai quella Morte nera abbia ucciso tantissime persone.

Dalle foreste alla città e la situazione urbana nel Medioevo e le cause della diffusione della peste a partire proprio dalle città

Alla caduta dell’Impero romano la gente non aveva tempo per pensare all’igiene, la peste non era una malattia nuova e anche se in quei primi secoli non c’era perché aveva da poco finito un nuovo eccidio (peste degli ultimi secoli dell’Impero), la gente non aveva comunque modo nè tempo per pensare di prendere misure preventive. Certo, perché la prevenzione all’epoca era soprattutto uno strumento politico, ma non sanitario. Si prevenivano le perdite di uomini in un esercito, le perdite di denaro di un impero che cadeva comunque, ma non si preveniva la cosa che fa vivere meglio: la salute!

La gente si trovava sottomessa a nuove popolazioni, si trovava a dovercisi obbligatoriamente confrontare, anche le guerre erano un confronto, armato, detta con ironia, ma era sempre un confronto e il confronto era anche sanitario perché popoli diversi con abitudini diverse venivano in contatto tra loro e dal momento che in ogni popolo le abitudini igieniche non erano proprio ottimali non era raro che le malattie di un popolo attaccante colpissero quello attaccato o viceversa. I popoli che furono responsabili delle invasioni barbariche erano popoli guerrieri e il guerriero di quelle popolazioni era un uomo che viveva molto a contatto con animali quali il cavallo per muoversi ed il cane per la difesa e per la caccia, era un uomo che si vestiva con pelli di animali quali pecore (per la lana), era una specie di uomo primitivo davanti al romano che conosceva un ambiente ed una società con terme, igiene e bagni pubblici.

Non solo, il guerriero barbaro ha una determinata fisionomia perché portava barba e capelli lunghi incolti, non avevano l’abitudine di lavarsi e vivevano in modo o in un altro, per qualunque motivo in contatto con gli animali. Gli animali però sono i primi, erano i primi ad essere colpiti da pulci e pidocchi e ne consegue che anche l’uomo standovi a contatto ne fosse contagiato.

La peste origina proprio dalle pulci che ne sono immuni, ma non ne sono immuni gli animali e men che mai l’uomo. Non era difficile prendersi le pulci dormendo sotto la stessa capanna con le proprie bestie ed ammalarsi. Ma il vero pericolo delle malattie infettive non era e non è tanto ammalarsi, ma diventare portatori sani e chi supera la malattia infatti diviene portatore sano e può contagiare persone sane che non hanno ancora contratto la malattia.

La peste ovviamente non era l’unico flagello del Medioevo e non era l’unica “punizione” che il perdono divino “revocava” al peccatore. Ce n’erano tanti altri, ma la peste ebbe il suo peso.

I primi secoli del Medioevo vedono un ritorno alle foreste da parte dell’uomo ma successivamente insorge la necessità di costruire strutture difensive attorno alle quali sorgono i borghi, che si ingrandiscono, si proteggono di cinte murarie e via fino alla formazione delle città.

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Figura 1 - Rappresentazione di una città medievale

 

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Figura 2 - Un castello nel Medioevo come poteva apparire nel Mille

 

Una città del Medioevo non apparirebbe come una città al giorno d’oggi, ma con le case attaccate le une alle altre vicine spesso a sorgenti, le famiglie dovevano condividere spazi molto piccoli e stretti e spesso avevano lo stesso spazio per stendere e lavare in comune.

Non esistevano bagni pubblici e la gente si lavava solitamente nel fiume o non si lavava affatto. Gli uomini erano sempre soliti a tenere la barba ed i capelli lunghi, ad eccezione dei soldati che portavano capelli corti e volto sbarbato ma non per questo immuni alla peste e vedremo successivamente perché.

Non esistevano nel Medioevo tecniche di smaltimento dei rifiuti. L’uomo viveva sempre con la sua famiglia all’interno di una casa e in contatto con animali tra cui cani o gatti. Malgrado possa sembrare assurdo e non è un comportamento solo presente nel Medioevo, era d’uso buttare gli avanzi di cibo per terra dove gli animali avrebbero provveduto a prenderli per nutrirsi dei pezzi di carne rimasti, gli animali provvedevano a portare gli ossi in giro e ad abbandonarli quando avevano finito di nutrirsene o quando non riuscivano a cibarsene. E nel luogo dell’abbandono arrivavano i topi a provvedere a rifiuto di altri animali. I topi, i roditori in genere erano altri serbatoi animali delle pulci e tra i primi a causare la trasmissione della peste all’uomo dal momento che erano tra gli animali portatori di pulci. I topi amavano lo sporco e una città medievale faceva al loro caso. Non era necessario dover entrare clandestinamente in casa per prendere l’avanzo dell’uomo, per il topo era sufficiente girare in cerca di cibo e se c’era già un altro animale che gli risparmiava tanta fatica nel ricercare cibo, il topo aveva fatto il suo affare. Una città medievale era abbastanza piccolina e comunque come abbiamo detto non c’erano spazi lontani per lo smaltimento dei rifiuti, trattandosi nel 95% dei casi di rifiuti organici quali avanzi di cibo o escrementi animali o resti di animali morti macellati che non venivano successivamente distrutti. Ci pensava madre natura, pensavano, a fare il suo corso, ci avrebbero pensato i topi e gli animali affamati. E infatti così era, così è ancora oggi in tutti quegli ambienti dove si trovano “discariche di rifiuti organici” che ci siano popolazioni di roditori.

La pulce, il primo serbatoio in assoluto della peste è quella bestiolina malefica a capo della catena di contagio. E’ la pulce chiamata anche comunemente pulce dell’uomo, ma attacca sia l’uomo sia gli animali e quindi la catena di contagio della peste poteva partire sia dall’uomo sia dall’animale da cui veniva poi trasmessa all’uomo per contatto. La pulce però per trasmettere la malattia innanzitutto deve portare al suo interno il batterio e poi deve trovare un corpo da cui prelevare il sangue dal momento che si tratta di insetti ematofagi, cioè che si nutrono di sangue e quali migliori piatti dell’uomo o dell’animale? Alla pulce il sapore del sangue è indifferente, l’importante per questo organismo è nutrirsene per vivere, ma se la pulce è serbatoio del batterio della peste è sufficiente la puntura ad un uomo o ad un animale per scatenare il finimondo. Oggi possiamo stare tranquilli, i paesi occidentali godono di un certo benessere per cui prima che una pulce scateni un’epidemia, bisogna che sia presente anche la condizione per cui questa attacchi.

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Figura 3 – immagine della peste di fine Quattrocento

 

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Figura 4 – miniatura sulla peste

 

Direte voi, se alla pulce non importa il sapore del sangue, vuoi che importi se una persona si lava o no? Infatti non importa perché al di là che una persona si lavi o no, la pulce può ugualmente colpire un individuo dall’animale o da un altro uomo. Nella parte iniziale si parlava si sporco, inteso però non come la presenza di polvere o pattume come lo intenderemmo noi oggi, dove si trova materiale di ogni genere, ma quello che viene inteso nel Medioevo come sporco è soprattutto materiale residuo organico, come già detto in merito al tipo di rifiuti. La pulce quando arriva al suo stadio adulto, esce dal bozzolo setoso in cui è cresciuta come larva solo a seguito di stimoli esterni che rivelino la presenza di calore (vivono a 37°C), anidride carbonica (CO2) e quindi la presenza di cibo. L’uomo e gli animali, i mammiferi in generale hanno una temperatura corporea di 37° a condizioni normali e la loro respirazione è basata sulla presenza di ossigeno, l’anidride carbonica viene eliminata. Una temperatura di 37°C e la presenza di CO2 indicano la presenza dell’uomo perché la CO2 viaggia attraverso il sangue e il sangue è il loro alimento.

Ma non solo, il sangue è anche l’ambiente in cui può vivere in condizioni ottimali il batterio della Yersinia pestis. Le pulci non hanno una temperatura di 37°C ma inferiore, di 25°C e questa è la temperatura ottimale per il batterio. Lo Y. pestis vive a temperature tra i -2°C ed i 28°C con un pH da debolmente acido a mediamente basico, ma il pH ottimale è 7.4, il pH del sangue. Le pulci inoltre non si ammalano, come già detto, ma fanno da serbatoio, il sangue serve al batterio per vivere e se ne deduce che una pulce malata che punge un animale o un uomo irrimediabilmente consente per mezzo della sua puntura la trasmissione del batterio che nell’uomo provoca la malattia chiamata peste.

La peste nel Medioevo veniva contratta quindi attraverso due importanti vie: dagli animali in genere, in particolare dai ratti e dagli animali morsi o venuti in contatto con gli stessi o da uomo a uomo per via aerea. Alcuni studi americani hanno rivelato che il cane è particolarmente resistente alle forme di peste, ne esiste anche una terza oltre alla bubbonica ed alla polmonare prevede una gastroenterite con febbre e vomito; il gatto invece non è resistente e la metà dei gatti che contraggono la malattia muoiono dopo lo sviluppo della stessa. E anche qui scopriamo qualcosa di interessante perché nel Medioevo i gatti erano tenuti proprio per dare la caccia ai topi, ma se poi i topi erano malati si creava un’altra nuova catena di contagio che portava sempre all’uomo.

In un certo senso possiamo dire che la peste veniva tramessa oltre che da uomo a uomo anche per mezzo della catena alimentare. In una città medievale il contatto uomo-uomo non era difficile e un’epidemia si diffondeva in fretta, ma c’erano alcune situazioni particolari che favorivano il contagio e le vedremo nel seguente paragrafo.

Dalla morte alla causa. Le scienze forensi per scoprire come il cadavere di un morto di peste poteva divenire una potenziale fonte di contagio.

L’incubazione della malattia dura da 2 a 12 giorni e si manifesta con febbre alta, cefalea, grave debolezza, nausea, fotosensibilità, dolore alle estremità, vomito e delirio. Si formano pustole nelle zone punte dalla pulce infetta; i linfonodi delle zone colpite (generalmente la zona inguinale e quella ascellare) si infiammano, gonfiandosi fino a formare uno o più bubboni. Possibile è la formazione di petecchie. Nei casi gravi, l'infezione si propaga nell'organismo provocando insufficienza cardiocircolatoria, complicazioni renali o emorragie interne, sintomi che possono facilmente portare alla morte. Altrimenti, nei casi meno gravi, la febbre cessa dopo circa due settimane, i bubboni gettano fuori del pus sgonfiandosi e lasciando una cicatrice. Le malattie spesso, nel caso del Medioevo, era possibile contrarle anche dai cadaveri, anche perché il caso accidentale di un uomo che contraeva la malattia e moriva in casa, da solo e il cadavere veniva scoperto dopo giorni dalla “presunta scomparsa” dell’uomo stesso, diveniva una potenziale fonte di contagio per la peste. Il corpo umano a seguito della morte prevede alcuni particolari che per le scienze forensi servono per determinare da quanto tempo è morto un individuo. Ovviamente l’ora e la data della morte possono solo essere presunte. Ci sono numerose osservazioni individuali che, se utilizzate insieme, possono fornire la migliore stima del tempo di morte. Tanto maggiore è il tempo però e tanto maggiore è la possibilità di errore nel determinare la morte. L’esaminatore deve guardare il rigor mortis, livor mortis, temperatura corporea e modifiche dovute alla decomposizione.

 

Una approfondita indagine della scena è necessaria. L'ambiente è il singolo fattore più importante nel determinare l’intervallo decorso dalla morte al momento della scoperta. Nel Medioevo non stavano ad indagare, non c’era tempo se c’era il sospetto di peste, perché i segni della malattia erano noti. Una delle prime cose che venivano fatte era la distruzione dell’ambiente per impedire il contagio. Come detto prima l’ambiente è un fattore importante per determinare il tempo decorso dalla morte alla scoperta del cadavere. Il rigor mortis prevede rigidità muscolare già dopo 3 ore dalla morte e una temperatura corporea di 21°C. La mandibola è la prima parte che diviene rigida, seguono le braccia e le ginocchia e anche i giunti divengono rigidi. La rigidità persiste fino a 36 ore dopodiché i muscoli stessi allentano nello stesso ordine con cui si sono irrigiditi. Il rigor mortis è rallentato da temperature fredde e accelerato da temperature calde, così come la posizione di un corpo in pieno rigore può indicare se il cadavere è stato spostato dopo la morte.

Il livor mortis è invece la colorazione rosso-violaceo del corpo dopo la morte per la decomposizione del sangue. Il sangue si deposita nei vasi sanguigni con gravità dipendente dalle zone del corpo. Alcune zone non si scoloriscono perché le ossa sotto la pelle provocano una compressione della stessa contro la propria superficie dura ed impediscono al sangue di defluire nei capillari.

Il Livor mortis è evidente circa un'ora dopo la morte e diventa "fisso" in circa 8 ore.
Quando il livor è fisso, il colore non sbianca sotto pressione e rimane in quelle zone, anche se il corpo viene riposizionato. In un corpo eretto la forza di gravità tende a far defluire il sangue verso gli arti, al contrario in un corpo a testa in giù la gravità flusso di sangue rivolto al capo, in posizione supina queste due forze praticamente si annullano e quindi il livor mortis non cambierebbe, qualunque sia la posizione del cadavere. Dal momento che la peste provoca debolezza e dolore alle estremità superiori ed inferiori, un individuo tende a stare a letto ed assumere quindi una posizione supina poiché il movimento provoca un dolore maggiore. Il dolore provoca una contrazione muscolare per cui l’individuo tende a piegarsi su sè stesso in posizioni diverse. Un corpo che venisse trovato in un luogo abbandonato qualunque sia posizione mostrerebbe il livor mortis per quanto riguarda le prime 8 ore dalla morte, successivamente a causa della decomposizione del cadavere questo finirebbe per scomparire sempre maggiormente.

Il freddo, la refrigerazione e la presenza nell’ambiente di CO porta un livor di colore rosso luminoso. Se si trovasse oggi un cadavere di un appestato del medioevo tra i ghiacci come è successo per i corpi di alcuni uomini della preistoria sarebbe possibile risalire alla causa della morte attraverso il sangue, la peste, e il batterio potrebbe essere ancora attivo. Lo Y. pestis infatti vive per pochi giorni nei cadaveri putrefatti ma si conserva e si moltiplica nei cadaveri congelati. Non sarebbe un errore definire la peste anche come una morte “fredda” oltre che nera. Il freddo inoltre inibisce i processi biologici della putrefazione e quindi un cadavere malato di peste di un uomo che è vissuto in piccole comunità montane nel Medioevo e che avesse contratto la peste, probabilmente lo ritroveremmo esattamente nelle stesse condizioni post-mortem in cui l’avrebbero trovato quando era morto da poco tempo. Le possibilità però di contrarre questa malattia da cadavere dopo molti secoli resta pressoché remota quanto invece la trasmissione da cadavere sarebbe stato invece possibile all’epoca, nel Medioevo, quando il corpo veniva scoperto dopo pochi giorni dal decesso, se si fosse trattato di un caso singolo.

Nel Medioevo non esistevano gli apparati che consentono grazie alla scienza ed alla medicina di risalire alla causa di una morte. Il ritrovamento di un cadavere dopo alcuni giorni non avrebbe consentito salvo condizioni particolari di risalire alla causa. Queste condizioni erano soprattutto fisiche e visibili nel caso della peste bubbonica per la presenza di bubboni. I bubboni si possono formare a livello di qualunque stazione linfonodale anche se prevalentemente vengono colpite le stazioni inguinale, ascellare, sotto clavicolare, retro auricolare, poplitea e faringea. Possono essere altresì colpiti anche i linfonodi profondi sia toracici che addominali. Talora si possono verificare emorragie sottocutanee causate dall’ostruzione dei capillari dilatati dall’ammasso di bacilli; si verifica allora la formazione di macchie sottocutanee scure che, nel Medio Evo, fecero definire la peste “morte nera”. Nel 70% dei casi la malattia ha un decorso molto più violento. Nelle prime 36 ore, dal momento della sua inoculazione, il bacillo si moltiplica nei vasi linfatici e raggiunge i linfonodi regionali. Dai bubboni, i batteri diffondono in circolo verso la milza, il fegato e talvolta i polmoni, ove si moltiplicano attivamente portando a morte, nei casi più gravi, entro 10 giorni dall’infezione. In tali casi, si instaura la peste setticemica secondaria o batteriemia che causa danni cardiaci, polmonari e renali, lesioni emboliche sottocutanee, emorragie spontanee delle mucose, ematuria, cancrena alle estremità, turbe psichiche e morte nel 100% dei casi.

Non va confusa come la forma che precede la setticemia primaria da peste malgrado la sintomatologia sia comune, riguarda il circolo ematico e che ha comunque anch’essa un’altissima mortalità. Nel caso della peste bubbonica e nel caso di peste setticemica secondaria il livor mortis sarebbe stato lo stesso, che come detto scompare a seguito della putrefazione, sarebbero rimaste però evidenti le macchie provocate dalle emorragie.

La forma di peste polmonare è la forma più grave della malattia che, in assenza di cure, ha esito infausto, in meno di 3 giorni nel 100% dei casi. Il periodo di incubazione è brevissimo da alcune ore a 1-2 giorni (Carniel, 2002) e la malattia si manifesta, in genere, con la comparsa subitanea di brividi, febbre, cefalea, mialgia, debolezza e difficoltà respiratoria. In seguito la malattia evolve e compaiono tosse, produzione di escreato, dispnea, ipossia ed emotipsia. La malattia si diffonde, tramite goccioline di escreato, a seguito del contatto ravvicinato (da 60 cm a 1,5 m) con un individuo infetto e può rappresentare l’inizio di un’epidemia di peste polmonare. La peste polmonare deve essere considerata come altamente contagiosa ogni volta che si manifesta anche se la trasmissione da persona a persona è più probabile in un ambiente freddo e umido e soprattutto sovraffollato, come potevano essere le città del Medioevo.

Nel Medioevo il ritrovamento di un cadavere portante i segni della peste era presto fonte di allarme sociale e fobia sociale. Era la presenza di bubboni a discriminare la malattia in un cadavere di pochi giorni, il che indica che le conoscenze medievali erano piuttosto rudimentali in campo medico e si basavano su segni ben precisi e solo da quelli, così la peste era discriminata dalla presenza di bubboni e dalla cancrena degli arti, tipica di questa malattia. Se il corpo però fosse stato rinvenuto molto tempo dopo dalla morte, quando la putrefazione era già in stato avanzato probabilmente la diagnosi non sarebbe stata possibile, questo anche per la mancanza delle scienze forensi all’epoca.

La decomposizione consiste fondamentalmente di due processi: autolisi e la putrefazione. L’autolisi è la distruzione di cellule e organi, attraverso un processo chimico asettico causato da enzimi intracellulari. Poiché si tratta di un processo chimico, è accelerata dal calore e rallentato dal freddo; si ferma con il congelamento o l'inattivazione degli enzimi dal calore. Organi ricchi di enzimi sono quindi sottoposti ad autolisi più velocemente rispetto ad organi con minore quantità di enzima. Così, il subisce l’autolisi prima del cuore. La seconda forma di decomposizione, che per la maggior parte delle persone è sinonimo con decomposizione, è putrefazione. Ciò è dovuto a batteri e alla fermentazione. Dopo la morte, la flora batterica del tratto gastrointestinale diffonde in tutto il corpo portando alla putrefazione. Quando si parla di decomposizione, di solito significa putrefazione. L’insorgenza di putrefazione dipende da due fattori principali: l'ambiente e il corpo.

La maggior parte delle autorità vuole dare la seguente sequenza di eventi in decomposizione degli organismi. In primo luogo vi è un verdolino scolorimento della parte inferiore del quadrante addominale, visibile più a destra che non a sinistra, nelle prime 24-36 ore. Questo è seguito dalla colorazione verdastra della testa, del collo e delle spalle; è presente gonfiore a causa della formazione di gas batterica e nel corpo si forma una sorta di "marmorizzazione" cui segue una colorazione dal capo al resto del corpo che diventa sempre più nera. C’è inoltre la decomposizione dei liquidi. Non solo, il caldo e il freddo possono il primo accelerare e il secondo rallentare il processo della decomposizione. I capelli si staccano e la pelle diventa flaccida come se fosse un vestito, gli organi perdono progressivamente peso. Nel Medioevo non esisteva la pratica della mummificazione e quindi è raro oggi ritrovare corpi imbalsamati di personaggi, anche ricchi ed importanti del Medioevo. La mummificazione è una via alternativa alla putrefazione che invece non consente il deterioramento dei tessuti come farebbe la seconda, anche se gli organi interni continuano a deteriorare. Inoltre la mummificazione richiede determinate condizioni ambientali e di temperatura per poter essere migliore. Nel medioevo i morti da quanto ci è pervenuto non ricevevano il processo di imbalsamazione come avveniva invece nella cultura egizia e specie nel caso di malattie epidemiche come la peste il corpo era spesso avvolto in teli e sepolto, in rari casi bruciato. Il batterio della peste però vive anche nel terreno, anche se questa conoscenza non c’era nel Medioevo, il che spiegherebbe come nei casi di epidemie si arrivasse a scavare fosse comuni, enormi e profonde dove i corpi avvolti dai teli venivano poi gettati e coperti e queste fosse comuni erano di solito fatte lontano dalle città per impedire alla malattia di diffondersi ulteriormente a partire da quei corpi. In questo senso la gente usava le fosse comuni lontane dalle città per impedire il diffondersi della malattia, senza sapere però che ciò poteva essere dovuto al battere, il che indica la profonda mancanza di conoscenze in campo medico e non solo, in epoca medievale. Il trasferimento di questi corpi che avveniva su carri di modeste dimensioni era effettuato da persone che avevano già contratto la peste e che avevano avuto la fortuna di superare la malattia.

Lo stato di decomposizione può essere avanzato già dopo 2-3 settimane dalla morte, un corpo malato di peste poteva avere anche un tempo minore di decomposizione. Se oggi fosse possibile tornare indietro nel tempo e analizzare il corpo di un malato di peste in avanzato stato di decomposizione potrebbe essere possibile ancora determinare il sesso della persona dal momento che la prostata e l’utero sono due degli ultimi organi a decomporsi. Se fosse possibile avere un elenco coi nomi di tutte le vittime della peste del XIV secolo sarebbe curioso fare una statistica di quanti maschi e quante donne sono morti. La decomposizione inoltre, specie in alcuni momenti, diviene oggetto d’attrazione per alcuni organismi quali gli insetti. Grazie alla presenza di questi insetti è possibile determinare approssimativamente il momento della morte perché se sono presenti anche delle larve significa che questi insetti si sono riprodotti nutrendosi a spese del corpo e quindi la morte è avvenuta da molto tempo ma non solo, l’intervallo dalla morte al ritrovamento è determinato anche dal tipo di insetto e dalla conoscenza del suo stadio di sviluppo, non solo dalla presenza delle larve. Infine sempre la presenza di questi insetti rivela se il corpo è stato spostato o no. Nel Medioevo il corpo dei malati di peste veniva spostato obbligatoriamente e poi trascinato fino al luogo della sepoltura, la fossa comune. Oggi le scienze forensi ci aiuterebbero a capire non tanto la ragione – ovvia – dello spostamento di un corpo di un malato di peste, ma lo spostamento dei corpi potrebbe essere indicativo per delineare un’area potenzialmente pericolosa per l’espandersi di una malattia. Il problema del sistema urbano medievale era proprio l’altissima concentrazione urbana di una città che portava un’epidemia all’interno della stessa; ma anche lo spostamento di corpi in fosse comuni al di fuori delle città era altrettanto potenzialmente pericoloso e questo perché proprio nel basso medioevo le città erano vicinissime tra loro.

Osservando le due cartine si può notare come la città di Londra fosse circondata da tantissime altre città, molto vicine tra loro e così si può vedere la singola condizione urbana di Londra nel XIV secolo, le voci in basso indicano i singoli quartieri e se la ingrandissimo noteremmo case attaccate le une alle altre. Lo spostamento di corpi fuori dalla città avrebbe determinato l’espandersi della malattia. Sempre nell’ipotesi di un “viaggio nel passato” nella Londra del XIV secolo, se avessimo scoperto il caso di un morto di peste fuori da una città e successivamente avessimo scoperto altri casi in una città vicina avremmo potuto ricostruire il percorso del contagio. Il problema non era però solo dei corpi, ma anche degli animali portatori di questa malattia. Anche gli animali come i roditori e i gatti muoiono di questa malattia e quindi, rifacendoci a quanto detto sopra, in riferimento agli insetti che si nutrono di un corpo durante la putrefazione, al tipo di insetti che consentono di identificare se c’è stato uno spostamento o no di un corpo, anche grazie agli insetti avremmo potuto ricostruire il percorso, perché non furono solo i morti a provocare altri morti, ma anche gli animali che si muovevano di città in città seminando morte e pestilenza. Se trovassimo un topo morto di peste in una città e conosciamo la presenza di casi di peste nelle zone circostanti al ritrovamento è facilmente deducibile che quel topo non è il solo probabilmente a fungere da vettore e siamo in grado di determinare l’area del contagio o in cui si sta sviluppando un’epidemia di peste.

La diffusione della peste attraverso l’Europa e le conseguenze

Fino ad ora abbiamo visto come avveniva il contagio e con quali modalità da vivente e anche da cadavere, come se si potesse tornare indietro sarebbe possibile ricostruire il quadro di una epidemia o pandemia come fu quella della peste, partendo anche dai ritrovamenti di cadaveri di malati di peste. Ora andremo a vedere come lo spostamento dei serbatoi abbia determinato la pandemia.

L'epidemia arriva in Europa dall'Est, attraverso le rotte commerciali, nascendo probabilmente nel Deserto del Gobi negli anni venti del XIV sec, colpendo gravemente la Cina, infuriando nelle pianure del Volga e del Don. Nel 1338 le comunità nestoriane di Issyk Kul vengono decimate dal morbo. Nel 1347, durante l'assedio di Caffa (l'odierna Feodosia), importante colonia e scalo commerciale genovese in Crimea, il khan tartaro Ganī Bek, come ha scritto Michel Balard, fa lanciare dei cadaveri infetti all'interno delle mura cittadine, come antesignano della guerra batteriologica. Le galere genovesi trasportano così la peste prima a Pera, nel porto di Costantinopoli, poi a Messina. Genova rifiuta di accogliere le proprie navi infette, così che queste devono ripiegare sul porto di Marsiglia, ma ormai il contagio è sparso per tutti i porti del Mar Mediterraneo.

Le cause della tremenda diffusione della peste in Europa vanno però anche ricercate in una serie di avvenimenti precedenti al 1347. L'Europa del XIII secolo era stata caratterizzata da un notevole incremento demografico. Una mutazione climatica nel XIV secolo comportò un abbassamento della temperatura sia in occidente sia in Oriente, il che determinò l’abbandono di alcune colture con conseguente crisi economica e carestie, da cui derivarono malnutrizione e in condizioni di igiene molto scarsa, come abbiamo detto, si crearono le condizioni per il contagio e la diffusione della peste.

Agli inizi del 1348 la peste raggiunge l'entroterra. Il 20 agosto raggiunge Parigi, il 29 settembre Londra. Dopo una pausa durante l'inverno, il 1349 vede la peste imperversare in tutta Europa. Fu questo l'anno di maggior contagio, tanto che in Scandinavia questo periodo (1348 - 1350) viene ricordato come "la peste nera". Nel 1350 muore di peste Alfonso XI il Giustiziere di Castiglia e nello stesso anno la peste raggiunge la Groenlandia dando la spallata definitiva agli insediamenti del territorio ed inducendo i coloni ad abbandonarli. Nel 1351 la peste raggiunge la Moscovia uccidendone il Granduca ed il patriarca della Chiesa ortodossa. Fra alti e bassi, la peste si presenta ogni 10-12 anni, mietendo innumerevoli vittime e slabbrando il tessuto sociale. Come Giovanni Boccaccio scrive nel suo Decameron:

 

“la peste rende nulle le leggi umane, come rende vano ogni ordine sociale e civile”.

Anche una volta cessata l'epidemia, le istituzioni civili rimasero profondamente colpite, e le usanze dei sopravvissuti alle epidemie si fecero meno rigide. Un cronista dell'epoca, Matteo Villani, nella sua Nova Cronica riporta che

 

« trovandosi pochi, e abbondanti per l'eredità e successioni dei beni terreni, dimenticando le cose passate come se state non fossero, si diedero alla più sconcia e disonesta vita che prima non avieno usata ».


La peste, paradossalmente, creò una forte ricchezza nella gente sopravvissuta: sia perché la crisi del mercato del lavoro aveva fatto aumentare enormemente i salari sia per la questione dei testamenti: in quanto pochi morivano lasciando delle volontà testamentarie, anche perché difficilmente i notai si recavano in casa dei moribondi. Dopo la peste, i tribunali vennero intasati da centinaia di cause legate a dispute ereditarie.
La morte di massa colpì fortemente le corporazioni inducendo a modificare i propri regolamenti (ad esempio permettendo l'arruolamento extra familiare). La peste portò anche all'abbandono dei territori anticamente coltivati a cereali con metodo intensivo lasciando spazio a nuove attività produttive come l'allevamento, la pastorizia e lo sfruttamento boschivo causando quindi una notevole discesa nei prezzi su prodotti quali la carne, il cuoio ed il legname.

Si calcola che circa la metà della popolazione europea nel XIV sec. fu decimata dalla peste (morirono circa 30 milioni di persone) e che questa colpì poco dopo l’inizio della Guerra dei Cent’anni e solitamente questi due eventi non vengono mai discussi insieme, va tenuto conto che all’epoca il bacino mediterraneo e i mari che bagnavano le isole britanniche erano percorsi continuamente da flotte per gli scambi commerciali e questo come scritto all’inizio del paragrafo potrebbe aver enormemente influenzato la diffusione della malattia a livello mondiale.

 

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La diffusione della peste. Fonte Wikipedia.

I medici davanti al flagello della peste nel XIV secolo

Si sa che le conoscenze in campo medico in epoca medievale erano piuttosto scarse e quindi figurarsi le terapie messe in atto.

I medici dell'epoca rimasero disorientati di fronte a questo fenomeno, per loro incomprensibile. Allora la formazione del medico prevedeva una solida preparazione astrologica, che impegnava la maggior parte del loro studio. Le teorie mediche risalivano all'antichità, a Ippocrate e Galeno, secondo i quali le malattie nascevano da una cattiva miscela (discrasia) dei quattro umori del corpo: sangue, flemma, bile gialla e bile nera. L'idea stessa del contagio era sconosciuta alla medicina galenica, e del tutto impensabile la trasmissione di malattie da animale a uomo. Si pensava piuttosto che dei "soffi pestiferi" avessero trasportato la malattia dall'Asia all'Europa, oppure che la malattia fosse causata da miasmi provenienti dall'interno della terra.

I consigli o regimi contro la peste, opere mediche che mostravano come difendersi dal contagio, divennero quasi un genere letterario. Si consigliava di tener aperte solo le finestre rivolte a nord, perché i venti da sud - caldi e umidi - erano considerati dannosi. Il sonno durante il giorno era bandito, così come il lavoro pesante. Secondo molti la peste colpiva di preferenza le donne giovani e belle. E, in effetti, la peste contagiava con maggior facilità più le donne degli uomini, e più i giovani che gli anziani.

Il medico Gentile da Foligno elaborò la teoria del soffio pestifero: una congiunzione sfavorevole dei pianeti avrebbe risucchiato l'aria dalla terra, aria che sarebbe ritornata sulla terra in forma di "soffio pestifero". La facoltà di medicina dell'Università di Parigi, incaricata da Filippo IV di Francia di redigere una relazione sulle cause dell'epidemia, fece propria questa tesi, e così questa spiegazione assunse grande autorevolezza e venne tradotta in numerose lingue europee.

Molti medici, di fronte alla peste, fuggivano. Se fuggivano erano considerati dei vigliacchi. Se restavano, erano considerati interessati solamente al denaro. Riferisce il cronista Marchionne di Coppo Stefani:

 

"Medici non se ne trovavano, perocché morivano come gli altri; e quelli che si trovavano, volevano smisurato prezzo innanzi che intrassero nella casa."

 

In caso di peste, l'unico dovere del medico era di invitare l'ammalato a confessarsi. Il rimedio cui i medici più frequentemente ricorrevano erano fumigazioni con erbe aromatiche. Papa Clemente VI, per tutta la durata dell'epidemia ad Avignone, rimase rinchiuso nei suoi appartamenti, dove erano accesi grandi falò. È probabile che in questo modo riuscì realmente a sfuggire al contagio: il calore allontana le pulci. A lungo termine la peste fece sì che la medicina si emancipasse dalla tradizione galenica. Papa Clemente consentì che si sezionassero cadaveri, pur di scoprire le cause dalla malattia. La ricerca diretta sul corpo umano per mezzo di studi anatomici ebbe un maggior impulso dopo la peste, un primo passo in direzione della medicina moderna e della scienza empirica. Ma dovevano trascorrere quasi 200 anni prima che Girolamo Fracastoro (1483-1533) si confrontasse in maniera più sistematica con l'idea di contagio.

La responsabilità per tante morti, quando venne il momento di dare colpe e fare capri espiatori: il caso degli ebrei

L'autorità della Chiesa e dello Stato crollò molto rapidamente, anche per l'inefficacia delle misure messe in campo contro il contagio. Boccaccio, nel Decamerone, annota:

 

E in tanta afflizione e miseria della nostra città era la reverenda autorità delle leggi, così divine come umane, quasi caduta e dissoluta tutta per li ministri e esecutori di quelle, li quali, sì come gli altri uomini, erano tutti o morti o infermi o sì di famigli rimasi stremi, che uficio alcuno non potean fare; per la qual cosa era a ciascun licito quanto a grado gli era d'adoperare [1].

 

A soffrire maggiormente di questa perdita di autorità fu chi si trovava a margini della società medievale. Soprattutto in Germania l'epidemia fu accompagnata da una gravissima persecuzione degli ebrei, probabilmente la più grave fino alla Shoa.

I pogrom ebbero inizio quanto la popolazione esasperata individuò negli ebrei i colpevoli della catastrofe. Le autorità tentarono di arginare le violenze. Già nel 1348 papa Clemente VI definiva le accuse che gli ebrei diffondessero la peste avvelenando i pozzi "inconcepibile", perché l'epidemia infuriava anche dove non c'erano ebrei, e laddove vi erano ebrei, anch'essi finivano vittime del contagio.

Il papa invitava il clero a porre gli ebrei sotto la sua protezione. Clemente VI vietò di uccidere ebrei senza processo e di saccheggiare le loro case. Le bolle papali ebbero effetto solo ad Avignone, mentre altrove contribuirono ben poco alla salvezza degli ebrei. Lo stesso vale per la regina Giovanna I di Napoli che, nel maggio 1348, aveva diminuito i tributi dovutile dagli ebrei che vivevano nei suoi possedimenti provenzali, per compensare le perdite dovute ai saccheggi subiti. Nel giugno dello stesso anno i funzionari reali vennero cacciati dalle città della Provenza, fatto che illustra la debolezza della tutela degli ebrei causata dalla perdita di autorità dei monarchi. L'accusa che gli ebrei avvelenassero fonti e pozzi cominciò a circolare agli inizi del 1348: in Savoia alcuni ebrei, inquisiti, sotto tortura avevano ovviamente ammesso questo reato. La loro confessione si diffuse rapidamente in tutta Europa, e scatenò un'ondata di violenze, soprattutto in Alsazia, in Svizzera e in Germania. Il 9 gennaio 1349, a Basilea, venne uccisa una parte degli ebrei che vi abitavano. Il consiglio cittadino della città aveva allontanato i più agitati tra quelli che istigavano alla violenza, ma la popolazione si rivoltò, costringendo gli amministratori a togliere il bando e a cacciare gli ebrei. Una parte di loro venne rinchiusa in un edificio su di un'isola sul Reno, cui poi venne dato fuoco. Anche a Strasburgo il governo cittadino aveva tentato di proteggere gli ebrei, ma venne esautorato dalle corporazioni. Il nuovo governo si mostrò tollerante verso l'annunciato massacro, che ebbe luogo nel febbraio 1349, quando la peste ancora non aveva raggiunto la città. Vennero uccisi 900 ebrei, sui 1884 residenti a Strasburgo.
Si discute sul ruolo dei flagellanti nei pogrom. Si riteneva che, ancora prima dell'arrivo della peste, essi avessero istigato la popolazione contro gli ebrei in città come Friburgo, Colonia, Augusta, Norimberga, Königsberg e Regensburg/Ratisbona. La ricerca più recente è però del parere che i flagellanti siano stati una "comoda giustificazione" (Haverkamp). Nel marzo 1349, 400 ebrei di Worms preferirono appiccare il fuoco alle loro case e morirvi che finire nelle mani della folla in rivolta. Lo stesso fecero in luglio agli ebrei di Francoforte. A Magonza gli ebrei si difesero, e uccisero 200 dei cittadini che li stavano attaccando. Ma alla fine anche a Magonza, che all'epoca era la più grande comunità ebraica d'Europa, gli ebrei si suicidarono incendiando le proprie case. I pogrom proseguirono sino alla fine del 1349. Gli ultimi ebbero luogo ad Anversa e Bruxelles. Quando la peste cessò, ben pochi ebrei erano rimasti in vita tra Germania e Paesi Bassi.

 

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Figura 5 – La peste

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Figura 6 – la maschera dei medici durante la peste

I veri “colpevoli” di quella pandemia: topi e pulci

Dare la colpa ad una popolazione come gli ebrei per la pandemia della peste nel 1348 è un pretesto inutile e vigliacco che ci ricorda dolorosamente i pretesti che portarono i cavalieri della I crociata a perseguitare questo popolo per i debiti così come ci ricorda poco meno di mille anni dopo i pretesti che Hitler trovò per sterminare un popolo e l’accanimento storico contro questo popolo ci fa vergognare della cattiveria umana nei confronti degli altri. Il cercare un colpevole a tutti i costi fa pensare alla mancanza di razionalità della popolazione, tanto quella medievale quanto quella moderna. Nel Medioevo potremmo dire che non c’era la scienza e la ricerca medica per ricostruire il processo di diffusione e contagio di una malattia come la peste, ma la malattia non era nuova al mondo, era conosciuta dal passato e come abbiamo detto si sapeva qualcosa ma quelle piccole conoscenze elementari non erano unite da un nesso logico e mancavano della chiave di interpretazione: il batterio della peste. Non c’era la microbiologia e quindi per loro esisteva la malattia e basta, di diffondeva e uccideva. Ma da qui a dire che delle persone, nel caso del Medioevo gli ebrei, tingessero i pozzi col morbo è un grosso sforzo di fantasia collettiva, uno sforzo non troppo lontano da quello che dovette fare la popolazione nel Rinascimento pur di mandare la gente al rogo.

Abbiamo detto prima sul batterio di come viene a contatto con le pulci e perché e su come queste lo trasmettano agli animali o agli uomini e da come da qui la malattia diffonda; abbiamo sfruttato le conoscenze di patologia forense per dare una spiegazione scientifica a come sarebbe possibile con le conoscenze moderne risolvere il caso di un ritrovamento di un corpo di malato di peste e da qui come si potrebbe ricostruire a ritroso il percorso del contagio, anche per avere la minima possibilità di fermarlo prima dello scoppio di una pandemia e da tutte questo notizie credo proprio che nel Medioevo NON ci fosse la ferma convinzione che gli ebrei fossero i colpevoli della diffusione del morbo, piuttosto per ragioni non del tutto chiare, furono dei colpevoli di comodo, dei capri espiatori in tutti i sensi perché invece i “veri colpevoli” furono pulci e ratti, animali e se la gente vuole invece nomi e cognomi, sono spiacente per loro, non ce ne sono.

Non potremmo nemmeno dare la colpa ai marinai dal momento che non era una sola nave a muoversi nel mediterraneo, ma più di una nave e che anche via terra i mercanti erano numerosissimi. La peste diffuse prima negli scali commerciali e poi nel resto d’Europa il che ci fa porre una domanda: perché ebbe inizio proprio dagli scali commerciali? Ad essere commerciati erano tessuti preziosi, spezie e gioielli e le condizioni igieniche, specie quelle dei porti, dei magazzini medievali e anche le condizioni di viaggio erano disastrose, igiene era completamente assente e i rifiuti organici navigavano insieme alle navi su tutto il Mediterraneo, le pulci potevano benissimo trovarsi anche tra le stoffe all’interno di una nave e venire in contatto con gli esseri umani durante gli spostamenti delle merci, ma le pulci non erano le sole ospiti clandestine di quelle navi, c’erano anche i topi soprattutto per le riserve di cibo messe da parte dai marinai e poi c’erano spezie. Il topo è fondamentalmente onnivoro e mangia di tutto. Se le pulci mordono i topi e i topi si ammalano, il contatto uomo-topo non era difficile considerando anche le navi medievali per quanto grandi fossero non eguagliavano certo le caravelle di Colombo quasi cento anni dopo, erano infatti molto più piccole e strette. Consideriamo anche che le navi non avevano al loro interno l’organizzazione che hanno le moderne navi dove uomini e merci stanno in compartimenti separati, ma nel Medioevo uomini e merci e piccoli ospiti clandestini dovevano condividere lo stesso spazio e lo stesso cibo il che non creava le condizioni solo per la diffusione della peste ma anche di altre malattie. Un colpevole quindi in un certo senso non c’è e proprio perché anche nel Medioevo non si aveva la più piccola chiarezza in merito che si fece degli ebrei un capro espiatorio. Altri erano invece fermi sull’idea che quella pandemia che uccise milioni di persone fosse invece un castigo divino, una punizione per i peccati dell’umanità. Era appena scoppiata la guerra dei Cento anni, tutta l’Europa soggiaceva in un caos da cui non sembrava poter uscire per l’economia (non dimentichiamo che in Francia poco prima della guerra dei Cent’anni Re Filippo IV il Bello (1314) aveva abbassato enormemente il costo del denaro, svalutando la moneta a tal punto che questa non valeva più niente e così aveva trovato nei templari l’ancora di salvezza, per averne i beni conscio di non poter saldare un debito con loro, fece distruggere l’0rdine), era un periodo in cui ci furono, come detto, dei mutamenti climatici che portarono alla scarsa produttività agricola e la popolazione di quei tempi viveva dei prodotti della terra, quindi seguirono carestie e fame nel mondo, la malnutrizione indebolisce profondamente il sistema immunitario e quindi la gente era più soggetta anche alle più banali malattie come quelle da raffreddamento e se consideriamo che all’epoca era assente il concetto di smaltimento dei rifiuti, non è difficile immaginare come fosse facile prendere delle malattie intestinali, anche bevendo acqua a valle contaminata da rifiuti organici a monte e ancora date quelle condizioni non è difficile nemmeno comprendere come la peste abbia trovato terreno fertile per impiantarsi e diffondersi e uccidere.

Fonti bibliografiche

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  • Claudia Eberhard Metzger, Renate Ries, Verkannt und heimtückisch – Die ungebrochene Macht der Seuchen, Basilea, 1996
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  • Franz-Reiner Erkens, "Buße in Zeiten des Schwarzen Todes: Die Züge der Geissler", in: Zeitschrift für historische Forschung, vol. 26, Berlino, 1999, pp. 483–513
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  • Manfred Vasold, Pest, Not und schwere Plagen. Seuchen und Epidemien vom Mittelalter bis heute, Monaco di Baviera, 1991
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  • Vincent J. DiMaio, Dominick DiMaio, Forensic Pathology - CRC series in practical aspects of criminal and forensic investigations. 2nd edition, 2001. Per le definizioni di patologia forense.
  • William F. Lyon, Yersinia pestis - Ohio State University Extension Fact Sheet, Entomology (2003). Traduzione a cura dell’amministrazione del sito
  • William H. McNeill, Seuchen machen Geschichte. Geißeln der Völker, Monaco di Baviera, 1976
  • William Naphy, Andrew Spicer, Der schwarze Tod, Magnus Verlag

Note

[1] Giovanni Boccaccio; Decamerone.

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